“Magalli era solo preoccupato perché era abbondantemente esaurito il tempo, infatti mentre parlavo già andavano i titoli di chiusura. Magalli devo dire è sempre stato molto sensibile a questa vicenda e lui personalmente non si è mai preoccupato di quello che dico. In fondo sanno che quello che penso e dico assumendomi tutte le responsabilità”. Così Pietro Orlandi ha risposto, in merito a quanto da noi pubblicato il 22 ottobre sul suo intervento a “I fatti vostri”, difendendo l’approccio dello storico conduttore.
Poi, entrando sui temi caldi della vicenda, che si trascina dal giugno 1983, aggiunge: “Bergoglio veramente non ha mai aperto nessuna pista, per lui sembra il caso di Emanuela non esista”.
Insomma non c’è stata nessuna insofferenza in Rai, anche sulle sue affermazioni forti in cui, con sarcasmo. affrontava la questione archiviazione del caso nel 2015 ad opera del magistrato Pignatone.
Sollecitato su un eventuale suo ritorno alla pista internazionale, ovvero a quel complesso complotto che legherebbe i rapimenti Orlandi-Gregori all’attentato a Papa Wojtyla del 1981, attraverso documentate pressioni su Pertini e sul Vaticano per far ritrattare Agca delle sue accuse ai mandanti bulgari e per condizionare la politica anticomunista del Papa polacco, in una fase di autentica guerra fredda, ecco la replica : “Non mi sembra ci sia un pieno ritorno sulla pista internazionale oggi, nel senso che io continuo a seguire come ho sempre fatto varie piste perché in ogni pista non c’è stata mai una prova che la escludesse ne ovviamente che la confermasse. Ad oggi nessuno può dire “le cose sono andate così” come purtroppo spesso accade, sarebbe più corretto per tutti dire sempre io penso che, a meno che non ci siano indizi che abbiano avuto riscontri”.
Il discorso sul ritorno all’ipotesi del ricatto internazionale era legato alle posizioni di Pietro emerse nel primo libro pubblicato sulla vicenda “Mia sorella Emanuela” (scritto a quattro mani con il giornalista Fabrizio Peronaci).
Riemerge intanto nella vicenda il ruolo di Marco Fassoni Accetti il fotografo autoaccusatosi di aver partecipato ai rapimenti, autore di un memoriale, che nel 2014 fece ritrovare il flauto quasi sicuramente appartenuto alla ragazza. Flauto che quest’anno si è incredibilmente scoperto non più presente negli archivi giudiziari in quanto distrutto come oggetto inutile.
Per Orlandi il fotografo non è assolutamente credibile: “Ovviamente quando a volte faccio riferimento alla pista internazionale non prendo sicuramente in considerazione Accetti. Se lui dovesse aver avuto un ruolo non ha nulla a che vedere con quello che ha raccontato in procura perché ovviamente non ha mai fornito riscontri a quello che raccontava e più di una volta si è contraddetto. Lui è ben altro di quello che vuole apparire”.
Intanto la figura del fotografo è tornata in gioco per quei riscontri che dovrebbero dimostare che è sua la voce delle telefonate ad opera dell’amerikano ed è probabilmente anche sua una delle voci presenti nel lato B di quella inquietante cassetta con i lamenti di una ragazza, fatto recapitare dai rapitori il 17 agosto 1983 in un cestino dei rifiuti a Roma. Un nastro in cui le voci maschili erano state appurate da un documento del Sismi. Un nastro che contiene lato B in cui vi è un articolato decalogo della trattativa che esprime tutti gli elementi di quella che viene definita pista internazionale. E’ Accetti a parlare in quella cassetta? Non a caso Pietro Orlandi chiede il riesame di quell’originale che, grazie alle tecniche odierne, potrebbe svelare nuovi elementi e contribuire a dare un volto a quelle voci.
Si parla di originale in quanto quel nastro è riemerso in versione ridotta e ripulita, non solo dai disturbi ma anche dalle voci maschili. C’ è anche chi mette in dubbio che il nuovo nastro non abbia nulla in comune con quello originale del 1983.
L’astio di Pietro Orlandi verso Accetti sarebbe legato a molte dichiarazioni del fotografo in cui a riscontri credibili si affiancano scenari per Pietro sono assolutamente surreali in cui risulterebbe coinvolta la sorella. Non a caso il soggetto, anche se sicuramente coinvolto nel sequestro, è risultato incredibilmente non condannabile nonostante le sue autodenunce. Ed è lui stesso ad affermare che quanto da lui dichiarato sia autentico ma non completamente… per ovvie ragioni di sopravvivenza.
Anche in questi giorni Accetti, interrompendo un lungo silenzio, è tornato a parlare sfidando Pietro Orlandi, (secondo quando pubblicato dal gruppo fb “giornalismo investigativo”): “invece di andare per tombe, chiedi che vengano tirate fuori le intercettazioni. E vedrai che io ci sono”. Accetti provocatoriamente, sempre su quel sito, ha aggiunto: “Solo in Italia può accadere che uno si presenti per ammettere le sue responsabilità, portando decine di indizi e la conoscenza di fatti che nessuno conosceva, e che venga rimandato a casa perché le sue verità danno fastidio”.
Tra tante mezze verità e personaggi discutibili resta il fatto che i misteri continuano con cassette ripulite, flauti che spariscono, testimonianze non verificate. Senza addentrarci sui silenzi di quel Vaticano in cui esisteva un’apposita linea (158) per comunicare con i rapitori di Emanuela Orlandi.
E’ evidente che l’archiviazione, e i silenzi di color che certamente sanno e che tengono la bocca cucita pur in età ultra avanzata, non potranno far scendere la parole fine su chi cerca con tenacia giustizia e verità da 37 anni. In ogni caso è indubbio che il lato B della cassetta dei lamenti, totalmente ignorato dai media, contenga un chiaro segno di quel ricatto internazionale che sarebbe alla base dei rapimenti di due povere ragazze. Inutile aggiungere che non fu un caso che, tra centinaia di sparizioni di ragazzi, il Papa polacco levò ben sette appelli accorati per Emanuela e anche il presidente Sandro Pertini fece i suoi passi per intervenire in modo più riservato sulla vicenda.
Conclusione: dov’è la cassetta originale? La richiesta di Pietro Orlandi merita una risposta.