Scritto da Gabriele Richetti
Almeno 250 velivoli incursori. Decine di migliaia di mezzi incendiari e più di 400 bombe sganciate, per un totale di 760 tonnellate; 914 feriti e 792 morti. Un’ora e dieci la durata dei bombardamenti, dall’1.35 alle 2.45 di notte.
Questo è il bilancio della notte del 13 luglio 1943, il bombardamento più feroce mai subito dalla città di Torino e da qualsiasi città italiana.
Torino e i bombardamenti nella Seconda guerra mondiale
Torino era inoltre stata capitale d’Italia: il suo valore, strategico e simbolico, era perciò elevato.
Le incursioni subite dal capoluogo piemontese possono essere divise in tre fasi.
La prima, quella che va dal 1940 al 1942, dai danni limitati: numero di vittime modesto, rifugi intatti. Le misure di prevenzione e la contraerea paiono, almeno in questa fase, funzionare.
La seconda, dalla fine del 1942 all’estate del 1943: massicce formazioni di aerei inglesi sganciano su Torino centinaia di bombe dirompenti e soltanto successivamente i mezzi incendiari. Bombe di grosso calibro (circa 18 quintali), esplosivi al fosforo e bidoni incendiari pieni di benzina e fosforo squarciano il ventre della città, causando molte vittime, distruggendo centinaia di edifici e provocando vastissimi incendi.
La terza fase, dall’autunno del 1943, comprende incursioni diurne (gli aerei degli Inglesi non partono più dall’Inghilterra, ma dall’Africa e dall’Italia del sud, senza preavviso e coperti dal mare). Danni ingenti agli edifici, ma in proporzione poche vittime.
La notte del 13 luglio
Ciò che accadde quella notte altro non può essere definito se non un bombardamento terroristico, e non solo per la metodologia (bombe e spezzoni incendiari a ripetizione, come una pioggia, al puro fine di distruggere e terrorizzare). Basti pensare al seguente elenco di luoghi sacri e storici colpiti (privi di qualsiasi rilevanza bellica): fu polverizzata la Chiesa della Madonna di Campagna (centrata in pieno da una bomba, che uccise tutti coloro che avevano cercato inutilmente riparo nel suo scantinato); furono danneggiati il Duomo, le chiese di Santa Teresa, Santissima Trinità, Sacro Cuore di Maria, Sant’Agostino, Corpus Domini, San Domenico, San Filippo, San Giovanni, San Lorenzo. Colpiti Palazzo Reale, Palazzo comunale, teatro Carignano, il Filadelfia.
Furono distrutte molte parti del Cimitero Monumentale: tombe e lapidi devastate, bare aperte, intere zone seppellite dalle macerie.
Intere zone distrutte, quasi tutti i quartieri smembrati. All’odore lacerante delle bombe si sommava quello del gas, degli incendi (che durarono giorni) e dei corpi che bruciavano sotto le macerie (l’ultima vittima fu recuperata dopo due mesi). I mezzi di soccorso erano stati bloccati dagli incendi, la contraerea era risultata praticamente inefficace (appena una decina i velivoli abbattuti). Chi era sopravvissuto grazie ai rifugi – e non tutti avevano retto l’urto di quel bombardamento – usciva incredulo dai nascondigli, spesso trovando la propria abitazione trasformata in un mucchio di pietre.
Nei giorni successivi, le persone che abbandonarono la città furono 460.000, pari a 2/3 dei torinesi dell’epoca. Molti cercarono rifugio in campagna almeno per la notte, temendo nuove incursioni, ma continuarono quotidianamente a recarsi in città per motivi di lavoro.
I resoconti della notte
Da ultimo, un elemento curioso: la cronaca di quella notte fu assai scarsa. Oggigiorno sembra incredibile pensarlo, ma in quei giorni di tumulto e morte, moltissimi giornalisti non uscirono di casa fino alla settimana seguente, quando ormai i bombardamenti successivi (sebbene di entità decisamente inferiore a quelli del 13 luglio) avevano creato confusione sui danni effettivamente riconducibili al primo bombardamento.
Perciò disponiamo oggi di resoconti decisamente più dettagliati relativi a bombardamenti meno drammatici, mentre del 13 luglio abbiamo una cronaca abbastanza limitata.
Quello che resta è la memoria di chi ha vissuto quella notte apocalittica, delle persone che persero tutto in una manciata di minuti, di una città sì in ginocchio, ma che seppe prontamente rialzarsi con la tenacia che ne aveva – da sempre – contraddistinto le fortune.