Cosa trapela dal commento che il giornalista del Corriere della Sera fa della lettera -di cui si è detto nel precedente articolo- inviata da Francesco al presidente Maduro in risposta al di lui scritto nel quale lo pregava di aiutare ancora una volta il Venezuela “nella strada del dialogo” tra governo ed opposizione? Sorvolando sulle interpretazioni date dal commentatore alle “due paginette e mezzo”, in particolare sull’affermazione che “al di là della cautela diplomatica il giudizio di Francesco e dei suoi consiglieri su Maduro è, a dir poco, negativo [al punto da chiamarlo] Signore e non Presidente”, ed usufruendo solo delle citazioni del testo che egli offre, nulla muta sulla posizione e sull’azione del Vaticano in Venezuela fin qui esposte. Il papa ritorna a lamentare che “quanto era stato concordato nelle riunioni non è stato seguito da gesti concreti” e che non si è ottemperato alle indicazione contenute nella lettera del 2016 del cardinale Pietro Parolin, nella quale “la Santa Sede segnalò con chiarezza quali erano i presupposti perché il dialogo fosse possibile”. Presupposti che evidenziavano come il Vaticano si stesse trasformando da soggetto “accompagnante” i dialoganti in soggetto attivo e, di fatto, fazioso, giacché le condizioni imposte nella lettera gravavano unicamente sul governo bolivariano, configurando una tacita accusa di una sua ambiguità nel processo di pacificazione.
Se le cose così stanno lo si potrà verificare solo se e quando la lettera pontificia in qualche modo diventerà di pubblico dominio. E’, comunque, rilevabile che anche un Francesco quando diventa papa soccombe alla ormai connaturata e permanente duplicità di tale funzione: pastore d’una immensa comunità di seguaci di Gesù e sovrano d’un minuscolo Stato che non si sottrae ai condizionamenti della diplomazia con l’ambiguità e le capziose tortuosità che la caratterizzano. E’ il caso dei due emissari di Juan Guaidò ricevuti, per la seconda volta, dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato. E’ vero che Parolin fu nunzio a Caracas dove avrà maturato amicizie, che il detentore della terza autorità in Vaticano è nativo del Venezuela e che la carità cristiana accoglie tutti. Ma non è meno vero che la diplomazia vaticana, di cui le due figure sono i più alti rappresentanti, dovrebbe tener presente che Guaidò essendosi proclamato, con l’appoggio degli Stati Uniti e accoliti, presidente ad interim del Venezuela, carica certo non contemplata nella costituzione democraticamente votata, si è posto al di fuori della legittima opposizione, costituendosi di fatto usurpatore d’un potere nient’affatto decaduto.
Che di questo si tratti è dimostrato dalla notizia di fine maggio che delegati di Maduro e di Guaidò, su sollecitazione del diplomatico norvegese Dag Halvor Nylander, esperto di negoziazioni difficoltose, si sono incontrati a Oslo per verificare la possibilità di avviare un negoziato di pace. Notizia confermata dal Ministero degli Esteri della Norvegia, il quale ha comunicato che entrambe le parti “hanno dimostrato la volontà di proseguire nella ricerca di una soluzione concordata e costituzionale che includa problemi politici, economici ed elettorali”. Una constatazione confortevole, ma offuscata da dichiarazioni concomitanti che confermano che nulla è cambiato nella posizione del partito Voluntad popular di cui Guaidò è capo. Mentre il presidente Maduro ha manifestato la sua soddisfazione riconfermando che “il nostro cammino è il dialogo, il rispetto della costituzione, la pace, la democrazia, lo sviluppo e la soluzione dei problemi”, l’altra parte vincola il buon esito della trattativa a condizioni che di fatto la seppelliscono sul nascere. ”Vogliamo giungere ad una soluzione del conflitto e saremo presenti in qualsiasi negoziazione”, ha detto Juan Guaidò a Fox. “Non c’è stato alcun accordo immediato, per questo continueremo a stare nelle strade” perché “tutte le opzioni sono ancora sul tavolo”, quindi anche l’intervento armato. Più drastico Carlos Vecchio, suo rappresentante presso il governo degli Stati Uniti: “Non siamo per perdere tempo… La soluzione sta nella partenza di Maduro [ed elezioni] senza Maduro al potere”. Una iattanza non nuova dietro la quale ci sono gli USA che hanno chiaramente espresso la loro contrarietà ai negoziati. ”Come abbiamo detto più volte crediamo che l’unica cosa da negoziare con Nicolàs Maduro siano le condizioni della sua partenza. Speriamo che i colloqui di Oslo possano concentrarsi su questo obiettivo”, ha tagliato corto il Dipartimento di Stato USA. Opposizione democraticamente legittima questa? Accogliendone i rappresentanti non teme la diplomazia del Vaticano d’accodarsi di fatto a costoro e la chiesa che lì ha il suo capo d’offuscare il vangelo?
Il percorso fin qui fatto sul dramma del Venezuela è stato lungo. Su di esso non mancano notizie, ma poco si controlla quanto possano essere inquinate da poteri molteplici e forti intenti a soffocare un progetto di governo antitetico, perciò sovversivo e contagioso, all’ordine politico ed economico dove essi signoreggiano e vigoreggiano. Un progetto, sottolineava Limes, mirante “a diminuire la diseguaglianza tra ricchi e poveri”; in altre parole, a restituire ai secondi la refurtiva loro sottratta dall’iniquità dei primi. Percorso lungo s’è detto, con l’occhio sempre puntato sul ruolo assunto in quel dramma dalla chiesa cattolica, che sembra(?) non avvertire il senso e la portata di quanto si sta giocando in quell’angolo di mondo ed in un contesto di confronto tra grandi potenze per la gestione del pianeta. “A Caracas si gioca il futuro del mondo moderno: se la forza del diritto deve cedere definitivamente al diritto della forza”, ha scritto Massimo Fini su Il fatto quotidiano.(6, continua)
Scritto da Vittorino Merinas