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MES: facciamo chiarezza

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

È giusto e opportuno fare chiarezza su quello che è l’argomento più discusso e dibattuto di questo periodo non ci fosse, a superarlo in classifica, l’egemonia del Coronavirus.
Il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) è un’organizzazione intergovernativa europea nata sull’onda degli strumenti messi in atto per la salvaguardia dell’economia dell’Eurozona in conseguenza alla crisi del debito greco nel lontano 2010. Nella forma attuale, il MES è attivo dal luglio del 2012 ed ha sede in Lussemburgo.

In Italia, il disegno di legge “Ratifica ed esecuzione del Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità (Mes)” è stato presentato in Senato il 3 aprile 2012. Il voto favorevole di Palazzo Madama è arrivato poi il 12 luglio 2012, mentre l’approvazione definitiva è stata data dalla Camera una settimana dopo, il 19 luglio 2012. All’epoca era in carica il governo tecnico di Mario Monti. A Montecitorio, il via libera alla ratifica è stato dato con 325 voti favorevoli, 53 contrari, 36 astenuti e 214 assenti. Tutti i 168 deputati del Partito Democratico presenti votarono a favore, così come 83 parlamentari del Popolo della Libertà, 30 dell’Unione di Centro e 14 di Futuro e Libertà. La Lega (con Roberto Maroni segretario) fu l’unica a votare contro (51 no), insieme a due voti ribelli all’interno del Pdl (Guido Crosetto e Lino Miserotti). Il giorno della votazione, la futura leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, all’epoca deputata del Popolo della libertà, era invece assente.

Il compito del MES, dunque, è fornire assistenza finanziaria ai Paesi dell’area euro che attraversano (o rischiano in modo concreto) gravi problemi di finanziamento.
Gli strumenti a disposizione sono diversi: concessione di prestiti ai Paesi in difficoltà (soluzione utilizzata finora da Irlanda, Portogallo, Grecia e Cipro) fino alla ricapitalizzazione indiretta delle banche (aiuto finora fornito alla sola Spagna). Gli altri strumenti previsti ma mai utilizzati sono acquisti di titoli sul mercato, linee di credito precauzionali e ricapitalizzazione diretta.
IL MES viene finanziato dai singoli Stati membri con una ripartizione percentuale in base alla loro importanza economica: la Germania, contribuisce per il 27,1 %, seguita dalla Francia (20,3%) e dall’Italia (17,9%). In soldoni, l’ammontare massimo complessivamente autorizzato è di 700 miliardi di euro: il finanziamento diretto da parte degli Stati ammonta a 80 miliardi di euro (l’Italia ha versato 14,3 miliardi, la Francia 20 e la Germania 27). I restanti 620 miliardi possono essere raccolti sui mercati finanziari attraverso l’emissione di bond (ovvero titoli di credito obbligazionali che attribuiscono al possessore, alla scadenza, il diritto al rimborso del capitale prestato più un interesse su tale somma). I prestiti non vengono concessi senza condizione: in genere vengono richieste riforme specifiche mirate a rafforzare i punti deboli dell’economia del Paese richiedente.
L’ipotesi di una ristrutturazione del debito per i Paesi che chiedono di accedere ai programmi di sostegno è stata prevista per evitare che un Paese in difficoltà possa far ricorso all’aiuto del MES senza procedere ad alcun tipo di riforma o intervento strutturale: in pratica limitandosi a incassare il prestito senza tenere sotto controllo i conti pubblici, sapendo che un soggetto terzo (e comune) provvederà a saldare i creditori.

In sostanza, in Italia si è taciuto del MES per sette lunghi anni, in cui governi di ogni colore si sono succeduti. La ribalta politica fa capo ai processi di riforma in seno all’UE, che hanno coinvolto nel 2019 il MES stesso. Il Consiglio europeo ha deciso di dare il mandato all’Eurogruppo (un organo informale in cui si riuniscono i ministri degli Stati membri della zona euro) per trovare un accordo di riforma del Trattato sul MES.
Essendo la modifica di un trattato, ogni variazione al testo originale deve essere approvata in via definitiva dai Parlamenti nazionali. Tra le principali modifiche citiamo il backstop, ovvero la possibilità di utilizzare il MES come fondo per le risoluzioni bancarie e le procedure per la ristrutturazione del debito pubblico, ossia una riduzione concordata del valore del prestito fatto allo Stato; in pratica, i creditori (tutti i sottoscrittori dei Titoli di Stato) vedrebbero decurtata la cifra che attendono in restituzione.
La polemica politica di questi mesi riguarda dunque le condizioni di accesso al finanziamento da parte del MES per i singoli Stati, e non verrà analizzata in questa sede.

Veniamo ora alla sera del 9 aprile 2020, quando si sono rincorse le voci più disparate: approvato il MES (?), svenduta la sovranità dello Stato, accordo benefico per tutte le parti (?) e ogni altro genere di avventata considerazione.
Cosa è in sostanza accaduto? L’Eurogruppo ha dato il proprio via libera sugli strumenti da mettere in campo per fronteggiare la crisi economica legata al Coronavirus.
Il MES potrà fornire assistenza finanziaria senza condizioni ai Paesi che lo chiederanno per le spese mediche e sanitarie dirette o indirette legate al Covid-19. Per il sostegno economico in senso stretto, le linee di credito del Fondo Salva Stati manterranno le condizionalità ad ora in atto.
Allo stesso tempo, come chiedevano Italia e Francia, entra nel documento finale il Recovery fund, un fondo per la ripresa che secondo il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri sarà “alimentato dall’emissione di debito comune europeo” ma il presidente dell’Eurogruppo, Mario Centeno ha spiegato che le modalità di finanziamento e le dimensioni del Fondo saranno decise direttamente dai leader e nel testo non si fa menzione esplicita di emissione comune del debito.
“Non c’e’ accordo sulla mutulizzazione del debito. C’e’ un accordo per un Fondo per la ripresa”, riferisce il ministro francese delle Finanze, Bruno Le Maire. Insomma, non viene menzionato il termine coronabond, ma una condivisione maggiore del debito c’è.
Il testo del documento stabilisce che la linea di credito del Fondo salva Stati sarà “disponibile per tutti gli Stati membri dell’area dell’euro durante questi periodi di crisi, con condizioni standardizzate concordate in anticipo dagli organi direttivi del Mes”, sulla base di valutazioni iniziali delle istituzioni europee e che “l’unico requisito per accedere alla linea di credito sarà che gli Stati membri dell’area dell’euro che richiedono assistenza si impegnino a utilizzare questa linea di credito per sostenere il finanziamento interno dell’assistenza sanitaria diretta e indiretta, i costi relativi alla cura e alla prevenzione dovuti alla crisi Covid-19. […] L’accesso concesso sarà il 2% del PIL del rispettivo Stato membro alla fine del 2019, come parametro di riferimento”. Tutti gli Stati membri dell’area euro comunque “rimarranno impegnati a rafforzare i fondamenti economici e finanziari, coerentemente con i quadri di coordinamento e sorveglianza economica e fiscale dell’Ue, compresa l’eventuale flessibilità applicata dalle competenti istituzioni dell’Ue”.
Così come traspare, quello firmato ieri sera è un accordo slegato dalla modifica del trattato di cui si discute da quasi un anno: è una misura di emergenza straordinaria. Non sappiamo, ovviamente, se qualcosa sia stato taciuto all’opinione pubblica – e non lo riteniamo impossibile – ma, in tutta franchezza, riteniamo in questa fase le polemiche premature, specie perchè anche l’approvazione di quanto deciso ieri sera dovrà passare in Parlamento (e speriamo che questa volta siano tutti presenti e attenti). Se la ratifica, invece, non passerà per le Camere si aprirebbero chiaramente scenari più inquietanti e ad ora difficilmente prevedibili.

Italo Levante

 

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