Luigi Di Maio ha finalmente rotto il diaframma che gli impediva finora di diventare “Er mejo de’ mejo”, primo assoluto degli asteroidi della galassia grillina che ruotano attorno al pianeta comico. E lo ha fatto con uno stile davvero impeccabile, d’altri tempi per sicurezza e decisione, sprezzante del pericolo. Ieri, dalla seggiola sul palco del Festival del Lavoro a Torino, evento organizzato per vivificare il G7 a Torino, si è rivolto ai sindacati come un principe si rivolgerebbe ai sudditi: “O cambiate o ci pensiamo noi”, ha detto loro, con quel plurale maiestatis che istintivamente rassicura i cittadini comuni che credono ancora alla demagogia in orbace, quella che fece dire a Mussolini, al suo primo discorso in Parlamento: “Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto”.
Ma “Er meio de’ mejo”, che è tra l’altro vicepresidente della Camera, si è fermato prima. Anche per prudenza tutta levantina e per una questione di fisico del ruolo: in stivalone neri, fez e divisa d’orbace, rischierebbe il ridicolo, più che in una vignetta di Forattini. In fondo, la migliore carta di credito gli deriva dal suo curriculum vitae nel mondo del lavoro: è un uomo insospettabile, privo di retropensiero, perché non ha che scarsissimi addentellati con l’occupazione, e dunque poco contaminato dai sindacati, quei vuoti organismi che una volta corrispondevano ai consigli di fabbrica, rappresentanze sindacali, e prima ancora, nel Jurassico della secondo dopoguerra, alle commissioni interne. Insomma, la persona giusta, priva di pregiudizi, come sono tutti coloro che non hanno mai o poco lavorato, per avere una visione nuova del mondo produttivo e di come si aumenta l’occupazione.
Infatti, racconta Wikipedia, il nostro “Er mejo”, pur di non raffreddarsi con il sudore delle ascelle, dopo il diploma di liceo classico ha subito ripreso la strada delle sudate carte (si fa per dire), prima alla facoltà di ingegneria, poi a giurisprudenza, ma con esiti per sua fortuna inconcludenti, altrimenti l’avrebbe atteso occupazione certa. Di giorni di lavoro c’è traccia, invece, da steward allo Stadio San Paolo di Napoli, e nel campo della regia, in qualità di assistente (ma di che cosa, non è dato a sapersi), dell’assistenza tecnica informatica, e della riparazione hardware e altro. In compenso, “Er mejo” ha mostrato tanto zelo politico e la suprema attitudine a rimanere nella scia del capo. Ecco, la vera ricetta per aumentare l’occupazione, in particolare la sua.