Nei giorni scorsi, molti giornali hanno dato notizia, con grande enfasi, che la Commissione europea ha accertato, per il 2015, un’evasione di Iva in Italia di 35 miliardi. Letta da un altro punto di vista, la notizia significa che non entreranno nelle casse dello Stato 35 miliardi (chissà cosa ci si inventerà per tappare il buco!). E si può aggiungere che l’importo non è completo. Andrebbe ancora aumentato − ma non potrà mai esserlo − dell’Iva evasa sulla cosiddetta “economia non osservata”, quella cioè “del nero” e “dell’illegalità” (prostituzione, traffico di stupefacenti, ecc.). Sono valori che l’Europa ha stabilito che concorrano a formare il Pil, cioè la ricchezza che si produce in un Paese. L’Istat valuta l’economia non osservata dell’Italia, complessivamente, tra i 200 e i 230 miliardi all’anno.
La notizia di questa evasione non desta però alcuna meraviglia. Basta scorrere i (ben nascosti) report del Ministero dell’economia e delle finanze. Cifre di evasione Iva per importi simili compaiono anche negli anni precedenti. Nel “Rapporto sulla realizzazione delle strategie di contrasto all’evasione fiscale” del 2014, il Ministero dell’economia indica una media annua di evasione Iva nel periodo 2001-2012 di circa 40 miliardi. Conferma la stessa media − con una punta di 40,2 miliardi nel 2014 − la “Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva” del 2016, redatta dalla Commissione istituita, sempre dal Ministero dell’economia, ai sensi della legge 196/2009 (art. 10-bis).
Il “Rapporto” presenta anche la graduatoria dell’evasione dell’Iva nei Paesi dell’Unione europea. Superano l’Italia in evasione Iva soltanto Ungheria, Grecia, Lituania, Slovacchia, Lettonia e Romania. Tutti gli altri Paesi Ue registrano importi minori di evasione. Il Paese più “virtuoso” è la Svezia, con un’evasione quasi inesistente.
Le relazioni ministeriali indicano, ovviamente, anche le azioni di contrasto che si mettono in campo per combattere l’evasione di cui stiamo parlando. Sono chiamati in causa tutti gli Uffici dello Stato che, istituzionalmente, svolgono questi compiti: Guardia di Finanza, Agenzia delle entrate, Agenzia delle dogane e dei monopoli, Ministero del lavoro, Inps, Inail, Regioni, Comuni, Enti internazionali di cooperazione in materia di evasione fiscale. Di tutti questi soggetti, si descrivono gli interventi e i risultati ottenuti. Tra le azioni per recuperare, anche soltanto in parte, l’evasione fiscale compaiono i condoni cui sovente l’Italia − nell’evidente incapacità di contrastare il fenomeno della sottrazione di tasse − ricorre per raccattare qualche entrata in più.
Ma c’è un’azione di cui, benché presente in altri Stati, da noi si parla poco: il contrasto di interessi. Consiste nello stabilire un meccanismo mediante il quale la convenienza ad evadere le tasse da parte di un soggetto trova un ostacolo nella convenienza a rendere nota al fisco l’operazione da parte dell’altro soggetto che è in rapporto con lui. Il meccanismo funziona accordando al soggetto che ostacola l’evasione Iva particolari agevolazioni fiscali sotto forma di detrazioni/deduzioni dalle imposte sui redditi di alcune spese sostenute.
In soldoni, se si potessero detrarre dalle tasse, anche soltanto per importi predeterminati, somme pagate all’idraulico, all’imbianchino, al meccanico o ad altre persone cui si è fatto ricorso per avere determinate prestazioni, ci sarebbe la convenienza a pretendere da questi soggetti una fattura, una ricevuta o altro documento valido fiscalmente. Ma se il cittadino privato non può detrarre alcuna somma per queste spese, che interesse può avere a pretendere una fattura gravata da Iva pagando una somma in più che, alla fine, diventa un regalo alle casse dello Stato senza averne alcun beneficio immediato? Soltanto in una società di santi si potrebbe pretendere questo. Ecco come si forma una parte di evasione di Iva e come la si potrebbe combattere. Ma forse anche coloro che fanno le leggi hanno interesse a non introdurre il contrasto di interessi.