“Io l’avevo detto e avevo ragione”. Sembra ripetere un mantra del leader repubblicano Ugo La Malfa. Leader del partito con l’edera negli anni 60.
Alessandro Di Battista è sicuramente un grande comunicatore che “spakka” sui suoi seguitissimi social. E ora pensa di ritornare in campo: “Sono sollecitato da tanti affinché mi ributti nella mischia” e precisa: “non sono disposto a tutto pur di tornare in Parlamento”. Un chiaro segno di riavvicinamento anche se non tutto con il leader Conte, per quanto tornato all’opposizione, pare fili proprio liscio. Forse vorrebbe essere lui il capo del movimento, quello delle origini, come auspicano i suoi tanti followers.
Ma il tempo in questa dimensione non va ancora all’indietro. E già Paragone ha fatto la fuga in avanti con il suo significativo “Italexit”. In ogni caso la libertà è bella perché qui tutti possono esprimersi, confrontarsi e anche insultarsi. Intanto Beppe Grillo è tornato a dare indirizzi a un movimento alquanto sbandato, e non pare vi sia un gran feeling tra il guru fondatore e Giuseppe Conte, mentre emergono maggiori affinità con quel Di Battista che si sente tanto vicino allo spirito delle origini del movimento duro e puro a suon di vaffa. Insomma basta Draghi e lontani alle sue agende di programma e dal Pd che non conta nulla come sinistra, per un movimento non più di governo ma di lotta.
Naturalmente è il Pd il primo obiettivo. Probabilmente si trovava ancora in Russia quando ha affermato: “Ora che siamo in campagna elettorale dalle parti del Pd ripartirà la litania del voto utile contro le destre che vogliono colpire i lavoratori. Cioè sognano di fare quel che il Pd ha sempre fatto”.
I fan intanto si appellano a lui per: “Sconfiggere gli sciacalli della politica che si sono venduti al sistema pur di eliminare il Movimento, che pur con i suoi errori è l’unico a dare fastidio al sistema!”. Insomma tutto lascia ritenere possibile un suo pronto ritorno in pista.
Ma i segnali e le defezioni, con il numero consistente di parlamentari che ha seguito Di Maio (con cui non passa giorno in cui non sorga una polemica), fanno pensare che non tutti si ritrovino nei cinquestelle tornati se non al “No Euro” all’“Europa matrigna”, e non si sa quanto persista e conti quella discussa “Via della seta”.
In ogni caso la gran parte del popolo pentastellato, o di quello che lo ritiene ancora un riferimento (sceso vicino al 10%), sembra in grande maggioranza legato a quel popolo di sinistra, progressista che ben vede le lotte per difendere il reddito di cittadinanza e le iniziative ambientali. Non a caso il dicastero della Transizione Ecologica stato era affidato ad un grillino nel Governo Draghi.
Tornando al Dibbapensiero nelle sue intuizioni, espresse sempre con lucidità e convinzione, specie con video via social, Draghi si sarebbe dimesso perché non ne poteva più. “Era stanco e se ne voleva andare”. E per questo avrebbe condizionato per via telepatica i leader pentastellati, Forza Italia e Lega affinché non gli riconoscessero più la fiducia per poter stare tranquillo.
I cinquestelle non si sono rovinati da soli in anni di fratture, tensioni, scissioni e abbandoni (tra le quali anche il suo). Anni in cui la loro linea, assolutistica e presuntuosa, di alternativa generale al sistema ha finito per sbattere il muso con la realtà amministrativa e con le scelte politiche. O a destra o a sinistra, pur con innegabili nobili e preziosi principi, a partire dall’ambientalismo e dall’attenzione alle fasce sociali più deboli, finendo a governare prima con la Lega e poi con il Pd. Altro che movimento oltre il sistema che sputava su tutto il resto coprendolo con un vaffa.
Intanto per Dibba anche l’ultima ennesima debacle pentastellata sarebbe colpa di Draghi e del mainstream che vuole isolare e annientare i pericolosi figli di Grillo che hanno guidato governi e avevano avuto percentuali democristiane in Parlamento.
Per Di Battista Draghi è il potere forte, è servo degli Yankee, mentre l’Europa è matrigna. Come se in Italia e nel mondo (a cominciare dalla Cina che detiene una parte consistente di titoli del debito americano) non vi fossero poteri finanziari ed gruppi economici (indeboliti), presenti a tutte le latitudini e dietro a tutti i partiti. In linea con quanto è categorico nel mondo complottista Di Battista ha sempre manifestato simpatia per il povero Donald Trump rispetto ad Obama da lui definito un golpista. Mai una parola su Capital Hill, in nome di quel suo slogan: «Preferisco scrivere verità scomode che accodarmi a un esercito di sepolcri imbiancati”. Da quest’area complottista trumpiana parte anche una sistematica trafila di attacchi verso quel Papa Bergoglio che ieri in carrozzella in Canada, oltre a invocare la pace, ha chiesto perdono per i delitti compiuti dai religiosi verso la comunità indigena. Chissà se Di Battista preferisce quel patriarca Kyrill che odia i gay e benedice la guerra.
Tornando in casa cinquestelle oggi Il più disorientato in questa fase appare proprio Conte che, dopo i successi della sua leadership, che aveva ottenuto tanti consensi, tanto che si era anche ventilata l idea di un partito Conte, schierato a sinistra e con l’Europa, si è ritrovato tirato per la giacchetta a giocare a fare il leader movimentista di un raggruppamento sempre più debole e conflittuale. Certo sorprende che, anche un fine osservatore come il sociologo Domenico De Masi si metta a fare i distinguo sul fatto che i cinquestelle tornando all’opposizione (proprio con Di Battista) potessero guadagnare due punti nei consensi. Certo oltre i partiti, e oltre Calenda, Grillo, Renzi, Toti, esiste un popolo che vuole pace, tranquillità, sviluppo , occupazione, armonia e che si sente europeo e democratico. Poco gli importa dei due o tre mandati..
Ora è un tutti contro tutti, con un crescendo di accuse, insulti che, più che basati sul sano scontro politico, partono dalla delegittimazioni delle persone, (l’ultimo caso è per Brunetta, che dimostra come al solito come i peggiori nemici siano spesso gli ex amici), in un crescendo che coinvolge ormai tutti i protagonisti delle prossime elezioni. Ma intanto il crollo di Draghi (che permane comunque un punto di riferimento anche politico con la sua agenda ancora in lavorazione) ha determinato sommovimenti incredibili specie in Forza Italia e nei Cinquestelle. Tra chi non si sente e non vuole finire con i sovranisti.
Questo in un quadro che, se era allarmante quando si diede corso al mandato a Draghi, ora è ancor peggio. Prodi ha giustamente sollevato il preoccupante e peggiorato livello di indicatori economici come Spread , inflazione, debito pubblico e soprattutto l’aumento di quanto dobbiamo pagare per sostenere il nostro indebitamento. In un contesto di povertà diffusa incendi, acqua razionata, dissesti ambientali, Covid e tensioni sociali.
Fattori con cui, qualunque sia il futuro Governo, bisognerà fare i conti in previsione di un quadro finanziario e sociale sempre più complesso che potrebbe mettere a rischio molte garanzie e certezze legati ai futuri stanziamenti. E non basterà dire che l’Europa è cattiva. Gli osservatori internazionali sono rimasti allibiti per questa rapida e inattesa svolta che ha chiuso l’esperienza Draghi portando ad imminenti elezioni.
Draghi non è certo insostituibile e le elezioni sono un fatto sacrosanto. Ma in questa fase così critica tornare alle polemiche e alle ripicche personalistiche (che toccano tutti i partiti), non pare sia un fatto che possa esaltare la partecipazione al voto. E’ evidente che il Pd rappresenti in ogni caso, con tutta la criticità, un punto fermo di governabilità legato all’Europa. Il resto, indipendentemente da tutto, apre verso sentieri di incertezza. Ma intanto l’Italia resta nel mirino di giochi geopolitici ben più grandi. Quello che preoccupa è che la paventata riforma ecologica, un nuovo rapporto con i consumi e l’energia, non possa in questa condizioni fare quegli auspicabili e irrinunciabili passi avanti verso il futuro. Siamo ancora indietro con la raccolta differenziata punto fondamentale per abbandonare discariche e termovalorizzatori.