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sabato, 27 Luglio 2024

Il Covid in Africa: tra vaccini cinesi e varianti sudafricane, l’Europa perde colpi e Pechino vola

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Moreno D'Angelo
Moreno D'Angelo
Laurea in Economia Internazionale e lunga esperienza avviata nel giornalismo economico. Giornalista dal 1991. Ha collaborato con L’Unità, Mondo Economico, Il Biellese, La Nuova Metropoli, La Nuova di Settimo e diversi periodici. Nel 2014 ha diretto La Nuova Notizia di Chivasso. Dal 2007 nella redazione di Nuova Società e dal 2017 collaboratore del mensile Start Hub Torino.

In Africa la questione Covid è allarmante. Al 2 aprile 2021 si contano 4.239.639 contagi e 113.142 decessi, anche se i numeri della contabilità ufficiale sono solo una parte di dati sicuramente più elevati.

Un quadro preoccupante in quanto in un solo mese si è registrato un aumento esponenziale del 40% dei decessi rispetto a febbraio 2021 (da 16.000 a 22.300).

E’ questa la fotografia pubblicata dall’organizzazione sanitaria senza fini di lucro Amref Health Africa, attiva dal 1957 specie nell’area sub sahariana. Area quanto mai critica per le debolezze dei sistemi sanitari, sociali e finanziari, per non parlare della reale applicazione di criteri di ammissibilità al vaccino per le popolazioni più vulnerabili.

Il moderno Sud Africa, con 1.549.451 di casi e 52.897 decessi, risulta avere la situazione pandemica più preoccupante. Colpa, secondo gli esperti, della variante del virus 501.V2, detta sudafricana, che si sta dimostrando particolarmente contagiosa.

Tra le nazioni del continente africano più colpite dal Covid (dati al 2 aprile 2021):  Marocco (496.676 casi e circa 8.825 decessi), Tunisia (255.308 casi e 8.843 decessi), Egitto (202.843 casi e 12.041 decessi), Etiopia (208.961 casi e 2.890 decessi).

Dubbi, perplessità e rifiuti

Voci e indiscrezioni dalle ambasciate occidentali in Africa raccontano di manifestazioni di perplessità e anche di sostanziali rifiuti del vaccino AstraZeneca a loro donato, con battute del tipo: “Fatevelo prima voi europei per dimostrare che è valido e poi noi vediamo”. Questo dopo che il Sud Africa, uno dei paesi più colpiti dal Covid, si è disfatto di un milione di dosi proprio di AstraZeneca rivendendolo a 14 paesi africani grazie al supporto di una apposita piattaforma dell’Unione Africana per l’acquisizione di vaccini (l’African Vaccine Acquisition Task Team, Avatt), evitando sprechi nel loro utilizzo. Ora il Paese si è accordato con Johnson & Johnson (di cui han beneficiato circa 200mila sudafricani), ma intanto ha dovuto rinviare le vaccinazioni.

Anche in Madagascar il siero AstraZeneca, offerto dal meccanismo di solidarietà Covax, è stato messo in discussione, non tanto per i rischi di trombosi venosa, ma per i dubbi sulla sua efficacia nel  combattere la pericolosa variante sud africana. Il paese ha così aperto le porte al vaccino cinese.

Il vaccino popolare cinese scaccia quelli europei in Africa

I vaccini anti Covid cinesi si stanno dimostrando un’ulteriore arma per rafforzare la già notevole presenza economico commerciale di Pechino in Africa.  

Vediamo alcuni dati che dimostrano come questo vaccino popolare si stia imponendo e come spesso questa avvenga a scapito dell’occidente.

Sono ben dodici gli stati africani che hanno ricevuto lotti di vaccino popolare cinese: Congo, Egitto, Gabon, Guinea, Guinea equatoriale, Marocco, Mozambico, Niger, Senegal, Seychelles e Zimbabwe

Tra questi è il Niger che ha ricevuto la fornitura più grande con 400mila dosi.

Orgogliosamente Pechino definisce il proprio come “un vaccino per tutti”, economico e affidabile per fronteggiare l’emergenza.  Uno strumento importante di prevenzione ma anche un grimaldello per avviare pronti accordi di cooperazione economica sia commerciale che sul piano infrastrutturale, anche in nuove realtà in cui la Cina non è particolarmente presente.   

In tal senso sono da vedere le 200mila dosi della prima fornitura-dono fatta allo Zimbabwe e le 50mila dosi consegnate in Mauritania, insieme a un lotto di respiratori. Un passo importante per la presenza commerciale cinese in questo Paese storicamente nell’orbita francese, ma soprattutto per affermarsi come portatore di un vaccino popolare sicuro e a basso costo.  

E’ interessante notare come la Mauritania abbia aperto le porte ai cinesi dopo che le attese 300mila dosi di AstraZeneca, prodotte dal colosso indiano Serum Institute (su licenza dell’azienda anglo svedese), siano state sospese per rispondere prioritariamente alla domanda interna indiana.

In ogni caso la macchina cinese crede e investe molto nella lotta alla pandemia anche in Africa e si è detta pronta ad esportare vaccini in oltre 40 paesi e, in dieci di questi, ha in programma progetti per la produzione e la lavorazione di vaccini cinesi in loco. Il vaccino cinese rappresenta sempre più un importante supporto per sviluppare nuove vie della seta.

Non a caso gli osservatori francesi hanno definito questi interventi para umanitari come “diplomazia dei vaccini”, ovvero un nuovo sistema per aprire nuove aree e mercati di influenza. Una linea dagli indubbi vantaggi politici, oltre che economici, in cui la Cina si sta dimostrando maestra approfittando delle difficoltà in cui annaspa l’occidente.

In questa ottica sono da vedere le prime spedizioni aree di vaccini cinesi in Etiopia e Ciad. E il discorso si va allargando ad altri Paesi, alcuni fino a poco tempo fa impensabili per come risultavano assorbiti da storiche influenze postcoloniali.

Un quadro diplomatico assistenziale in cui la Cina può agire con sempre maggiore determinazione in quanto unica economia del mondo a crescere anche nel 2020 con una marcia che continua nel 2021.

Pechino non si trova più nel guado della pandemia, come molti paesi dell’occidente, e non ha quindi più bisogno di milioni di dosi di vaccini, potendo così sviluppare generose iniziative verso l’Africa e altri paesi poveri con indubbi sviluppi sul piano dell’influenza politica.

Tutto questo mentre l’occidente, e l’Europa in particolare, permane in piena difficoltà e a stento vede una ripresa all’orizzonte, tra continue polemiche su vaccini e ritardi nei piani di vaccinazione, cui si aggiungono le drammatiche conseguenze della pandemia sul piano sociale non facili da fronteggiare.  Un quadro che certo non favorisce generosi slanci per vaccinare le popolazioni africane che permangono in condizioni preoccupanti.

In Africa servirebbero 1,5 miliardi di dosi.

Le vaccinazioni anti Covid fino ad ora realizzate sono assolutamente insufficienti. Nel mondo sono state fino ad ora somministrate 260 milioni di dosi di cui solo 16 milioni sono state utilizzate in Africa. Un dato lontanissimo da quei 600 milioni di dosi necessari per raggiungere il primo obiettivo di vaccinare il 20% della popolazione, mentre servirebbero 1,5 miliardi di dosi per arrivare al 60% della popolazione (ovvero 780 milioni di africani).

I programmi solidali promossi dall’Oms in tema di vaccini in Africa

Gli obiettivi previsti dai piani solidali di intervento (Oms) restano ancora lontani a fronte di realtà molto popolose, difficili e anche costose sul piano logistico-operativo nell’attivare diffuse ed efficaci campagne di vaccinazione. 

Per agire sulla pandemia nei paesi poveri è stato istituito il Covax. Un programma solidale dell’OMS per sostenere le vaccinazioni in 92 paesi a basso reddito. Un programma che ha appena pianificato la distribuzione gratuita di 283 milioni di dosi (di vaccino AstraZeneca), di cui la metà è in Africa (13.656.000 di dosi per la sola popolosa Nigeria, 7.620.000 in Etiopia, 5.928.000 nel Rep. Democratica del Congo, 4.389.600 in Egitto e 3milioni in Kenya e Uganda).

Il piano solidale Covax ha, come primo obiettivo, la fornitura di scorte per il 20% della popolazione, da distribuire in tutti questi paesi in modo equo (ovvero in nessun singolo Paese si dovrebbe superare questa percentuale).

E’ evidente che per l’Oms la rapida diffusione dei vaccini sia l’unica via per uscire dalla pandemia e la distribuzione solidale per le economie più povere dovrebbe consentire la vaccinazione, entro fine 2021, di almeno il 27% della popolazione.   In questo piano rientrano oltre 237 milioni di dosi di vaccino AstraZeneca per i paesi più poveri (prodotto in India e Corea del Sud), mentre sono anche in programma spedizioni di 1,2milioni di vaccino Pfizer/BioNTech, che però necessita per la sua conservazione di temperature molto basse.

 Sulla realizzazione di questi programmi pesano diverse incognite legate allo sviluppo del virus, al sorgere di variabili come quella sud africana, alle reazioni dei singoli paesi rispetto al ricorso a certi vaccini e infine all’arrivo baldanzoso del vaccino popolare cinese

Covid. International chinese business.

La guerra al Covid sta aprendo enormi spazi alla propaganda cinese e alla sua penetrazione politico economica, in modo soft, in nuove realtà, presentando Pechino come un vero partner solidale e affidabile nel far superare l’emergenza e anche diffidenze dei nuovi Paesi amici che ovviamente non potranno non tener conto dell’impegno di Pechino a fronte dell’assenza degli occidentali.

  Non è certo il piano Marshall ma è indubbio che questi interventi cinesi avranno indubbi risvolti sul piano geopolitico mentre l’Occidente necessiterà ancora di molto tempo per riprendersi dalla crisi pandemica.

Intanto l’interscambio economico finanziario tra Pechino e l’Africa continua a crescere e rappresenta  un partner prioritario per un numero crescente di Paesi africani. Lo spazio del business legato alla lotta al Covid resta enorme e l’ingresso in questo business sanitario sta diventando per Pechino una sorta di lasciapassare per sviluppare ulteriormente la già forte presenza economica cinese in Africa.

 Un’influenza che appare ulteriormente rafforzata dagli importanti sviluppi geopolitici ed economici legati al recente accordo tra Pechino e Teheran

Dietro l’attenzione cinese in Africa, oltre ai vaccini, vi sono notevoli interessi tra i quali il grande business del controllo della produzione di metalli preziosi, essenziali nell’atteso imminente boom delle auto elettriche e delle attività legate a informatica e telecomunicazioni oltre al discorso degli appalti infrastrutturali.

 Insomma per l’Europa, messa in ginocchio dal Covid, l’ombra cinese si fa sempre più grande anche in Africa. Un’ombra che non si espande solo a livello economico ma che sta diventando un modello di sistema politico efficiente, ricco, ipertecnologico ma sempre più spaventosamente orwelliano. 

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