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sabato, 27 Luglio 2024

Caso Emanuela Orlandi, la verità dai codici

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Moreno D'Angelo
Moreno D'Angelo
Laurea in Economia Internazionale e lunga esperienza avviata nel giornalismo economico. Giornalista dal 1991. Ha collaborato con L’Unità, Mondo Economico, Il Biellese, La Nuova Metropoli, La Nuova di Settimo e diversi periodici. Nel 2014 ha diretto La Nuova Notizia di Chivasso. Dal 2007 nella redazione di Nuova Società e dal 2017 collaboratore del mensile Start Hub Torino.

Sul web infuria una sorprendente polemica sul caso Emanuela Orlandi a 35 anni del rapimento della quindicenne, figlia di un messo pontificio, sparita nel nulla dopo una lezione di flauto a Sant’ Apollinaire mentre aspettava il bus 70 vicino alla sede del Senato il 22 giugno 1983.
Ora la polemica riguarda i codici cui i rapitori sarebbero ricorsi per lanciare messaggi al Vaticano. Si, perché è evidente, pur con tutti i dubbi del caso, che i sequestratori di Emanuela parlarono anche ricorrendo a messaggi criptati.
Non si tratta del Codice da Vinci, ma di una questione che continua a dare sofferenza e angoscia a una famiglia che non si è mai arresa e continua a chiedere giustizia e verità. Tuttavia in questa vicenda il ruolo dei codici, che potrebbero apparire dai contorni quasi esoterici, principalmente legati all’apparizione della Madonna di Fatima (13.5.17), potrebbe fornire importanti chiavi di lettura per arrivare alle reali motivazioni di un’azione criminale che, nonostante la mole di elementi e personaggi coinvolti ormai affiorati, non si riesce ancora a decifrare.
Una matassa ingigantita da evidenti depistaggi, insabbiamenti, silenzi e infinite polemiche che potrebbero far pensare al persistere di ricatti. Anzi, oggi la ripresa del polverone su questioni come quella dell’avvenuta o meno prima telefonata, subito dopo il rapimento, o sul codice 375 in particolare potrebbe far balenare una imminente svolta, con il possibile emergere di soggetti che sanno e che fino ad ora hanno taciuto o dovuto tacere.
A parlare e riferire nei dettagli di questi codici è il fotografo Marco Fassoni Accetti. Una figura che sicuramente ha avuto un qualche ruolo nella vicenda come telefonista (l’amerikano) e come “attenzionatore”. Un personaggio controverso su cui pesa anche l’ipotesi di trovarsi davanti ad un doppiogiochista. In ogni caso una figura che, oltre ad autoaccusarsi del rapimento, ha fornito molti elementi sul sequestro (riportati in un memoriale).
Tuttavia Accetti, il cui ruolo mai sarebbe venuto alla luce senza le intuizioni di Fabrizio Peronaci, giornalista del Corriere della Sera e autore de “Il Ganglio”, viene sempre più ignorato nel dibattito sui media.
Tornando ai codici, si deve partire dal 158. Si tratta di un numero telefonico interno del Vaticano. E’ un dato accertato e comprovato che, su richiesta dei rapitori, sia stato utilizzato per le telefonate riguardanti il caso Orlandi. Gli squilli su questa linea, che agitarono le suore che rispondevano, mettevano direttamente in contatto con il cardinale Casaroli, o con figure del suo calibro. Il codice si ritiene legato alla data dell’attentato al Papa Wojtyla (13.5.81): basta rimuovere le prime due cifre e si ottiene 5-81, vale a dire maggio 1981. In tal senso non pare un caso che la notizia del rapimento di Emanuela condusse subito (28.6.83) l’attentatore del Papa, il lupo grigio Ali Agca, ad una pronta ritrattazione della pista bulgara, da lui in precedenza indicata come quella mandante dell’attentato.
A questo proposito basta vedere quanto riportarono le agenzie e i giornali dell’epoca. Lo scambio Emanuela-Acga è stato ampiamente ripreso su tutti i media, a prescindere dall’ambigua figura del “lupo grigio”. Sarebbero poi emersi diversi ulteriori collegamenti e contatti tra i rapitori di Emanuela e Ali Agca.
L’avvio della vicenda con “l’imposizione” in Vaticano, da parte dei rapitori, del codice 158, può essere alquanto significativa sui metodi particolari utilizzati, ovvero sul ricorso a codici per comunicare. Un discorso che anticipa quel 375 ritenuto uno dei codici fondamentali in questa vicenda, che ha fatto discutere e polemizzare molto, specie in questi ultimi giorni. 375 mila lire è infatti l’importo dello spropositato compenso che fu promesso ad Emanuela da un finto rappresentante della Avon per un pomeriggio di lavoro in occasione di una sfilata della maison di moda delle Sorelle Fontana in Piazza Borromini, in programma il sabato successivo. A riferire, il 6 luglio 1983, dell’incontro e della proposta fu suor Dolores, direttrice della scuola di Sant’ Apollinaire, dove Emanuela frequentava lezioni di flauto.
Anche per i due luoghi Piazza Borromini e Maison di moda Sorelle Fontana ci sarebbero indicazioni simboliche e precisi riferimenti. Per Sorelle Fontana si è ipotizzato un riferimento a monsignor Pierluigi Celata, direttore del San Giuseppe De Merode (che si trova a fianco dell’atelier) che fu frequentato dall’Accetti. Celata fu un collaboratore del cardinal Casaroli coinvolto nel contrastare la linea “occidentale” di Marcinkus presidente dello Ior. Non a caso uno dei primi due telefonisti (tre chiamate il 25 e 26 giugno 1983) si qualificò proprio con il nome di Pierluigi.
Il riferimento a Piazza Borromini sarebbe invece da collegare alla controversa figura di Francesco Pazienza (faccendiere legato ai servizi), anche lui impegnato a contrastare la politica dello Ior contro il blocco dell’est (finanziamenti a Solidarnosc). Questi riferimenti sono stati riportati da Accetti in Procura nel 2013.
C’è stato anche un altro modo di riferire i codici. Nelle prime telefonate alla famiglia della ragazza sono stati riportati in modo esplicito i codici 17 e 35 in riferimento all’età riportata dai telefonisti. Un discorso che anticipa e riprende quel 375, ritenuto la madre dei codici nel caso Orlandi, con un numero che ripropone il quasi costante riferirsi all’apparizione di Fatima.
Inoltre 375 sono i giorni tra la data del rapimento di Emanuela e quella della scomparsa del banchiere Roberto Calvi (13 giugno 1982) che fu poi trovato “suicida” sotto il Blackfriars Bridge sul Tamigi.
Il viaggio attraverso i codici riporta alla pista internazionale in cui si muove la logica di contrastare la decisa svolta anticomunista di Papa Wojtyla e gli oscuri finanziamenti per sostenere il sindacato polacco Solidarnosc, con fondi anche sporchi, che passarono dall’Ambrosiano di Roberto Calvi, detto il “banchiere di Dio”, e che videro coinvolto lo Ior. Una collaborazione, protetta dalla P2 di Licio Gelli (a cui Calvi era iscritto), che portò al totale dissesto finanziario dell’Ambrosiano nonostante il paravento delle lettere di patronage dello Ior.
Nell’infinito dedalo di possibili codici e simbolismi citiamo il 20 luglio. È la data dell’ultimatum (20 luglio 1983) fissato dai rapitori di Emanuela, che puntavano allo scambio tra la ragazza e il Lupo grigio incarcerato. Si tratta di una data quanto mai significativa per i musulmani in quanto corrisponde al sanguinoso assalto alla Grande Moschea della Mecca del 20 luglio 1979.
Il quadro contorto e anni di totale confusione e muri di gomma sulle vere motivazioni del rapimento Orlandi non possono certo essere agevolate da un discorso portato avanti dai rapitori basato anche su codici che palesemente puntano in primo luogo sul Vaticano. Tuttavia questi codici rappresentano una chiave di lettura che non dovrebbe essere ignorata, come le tante testimonianze tra le quali quella di Marco Fassoni Accetti, uno dei pochi che, pur nei limiti del suo ruolo probabilmente marginale, sicuramente vide e conobbe molte cose, e non è il solo. La via dei dossier vaticani non sembra promettere molto visto il muro sollevato oltretevere (nessuna disponibilità verso le rogatorie).
Molto vicino a quello che non è un mistero ma un composito puzzle in cui molti protagonisti hanno un volto, è andato il procuratore Capaldo, fino alla sorprendente e improvvisa archiviazione del caso nel 2016. Archiviazione che non ha messo il bavaglio a chi, pur se da posizioni diverse, continua la sua battaglia di verità e non si arrende grazie anche alla solidarietà espressa da tanti ai comitati promossi da Pietro Orlandi.

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