di Monica Cerutti*
La sindaca di Roma sostiene che la legge sulle quote rosa «rappresenta una sorta di recinto per i panda, un’offesa per le donne che circoscrive la loro presenza nella politica e nelle imprese invece di promuoverla nel senso che rispettare le quote viene vissuto come il traguardo da raggiungere».
Ma quale recinto per panda! Le quote rosa sono soltanto uno dei mezzi utilizzati per raggiungere un obiettivo più grande e importante come un’equa rappresentanza femminile nel mondo politico e del lavoro. Chi pensa che le quote rosa siano il fine non ha compreso il percorso che è stato intrapreso fino a oggi che forse richiederebbe un’espressione diversa come “democrazia paritaria”.
Sono d’accordo con Chiara Appendino quando dice che si deve lavorare per raggiungere un nuovo sistema di welfare che aiuti le donne in ambito lavorativo, le quote rose non rappresentano un’alternativa a questo, anzi sono uno strumento complementare. Si pensi ai paesi nordici che sono stati in grado di creare un ciclo virtuoso partendo dalla rappresentanza femminile nella vita politica: più donne nei ruoli decisionali hanno contribuito a scelte politiche e legislative a favore di un sistema di sostegno a 360 gradi del mondo femminile nel welfare.
È un peccato che ci si divida su un fronte come questo che invece dovrebbe essere comune. Le donne dovrebbero riconoscere reciprocamente la propria autorevolezza e muoversi compatte nella stessa direzione. Alcuni risultati li abbiamo già davanti agli occhi e sono quelli della legge Golfo-Mosca, che come ha sottolineato quest’ultima ha permesso di aumentare la presenza delle donne nei Consigli di Amministrazione delle aziende interessate dalla legge dal 4% al 30%. In questo modo si promuove concretamente anche il cambiamento culturale auspicato.
*assessora alla Regione Piemonte alla Pari Opportunità