di Moreno D’Angelo
La guerra del panino, ovvero il diritto di portarsi il cibo da casa, continua ad allargarsi in tutto lo stivale. Dopo le sentenze, gli interventi di esperti, presidi e la minaccia di una sorta di “class action legale” a tutela del panino casalingo, la questione può considerarsi un prezioso indicatore, una sorta di cartina di tornasole, del quadro socio educativo delle nostre scuole dell’obbligo e delle famiglie oggi. C’è chi ha visto in questa protesta una tendenza a una privatizzazione familistica del sistema educativo. Intanto la guerra del panino interessa in primo luogo quelle realtà dove è ormai consolidato il “tempo pieno”. Un fatto che è marginale in alcune regioni del sud come la Sicilia.
Il tempo di condivisione degli studenti in mensa ha evidenti finalità educative legate ai valori della scuola pubblica che annullano ogni differenza economico sociali religiosa e di provenienza tra i bambini. I bambini crescono condividendo e gustando “cose diverse” rispetto alle abitudini familiari.
Mense, il cui quadro in Italia è tutt’altro che disprezzabile, con menù che ormai usualmente tengono conto delle esigenze legate a fattori religiosi e altre particolarità (intolleranze, abitudini, tradizioni, fino al tanto decantato bio e Km 0. Certo la mensa non è l’unico modello esistente. Ma in certe legittime e motivate proteste si ravvisa una tendenza legata al “mammismo protettivo” (che in Italia è a livelli record rispetto al resto d’Europa) che fa si che spesso vi siano genitori che attaccano a prescindere i severi insegnanti incapaci di responsabilizzare e seguire i loro viziati figlioli. Un fenomeno particolarmente diffuso in famiglie dove i genitori separati fanno spesso a gara nel viziare il povero pargolo.
Ma cosa succede nel resto d’Europa? E’ noto che nelle realtà del nord Europa non esista il pranzo tradizionale (si preferisce una abbondante colazione e una cena) e il servizio scolastico assume un ruolo importante e diffuso tra gli studenti. Tuttavia esistono eccezioni come nel Canton Ticino. Qui i ragazzi nella pausa possono recarsi a casa o usufruire di locali limitrofi alla scuola, con l’accordo dei genitori, per consumare dei panini. In Francia, Paese in cui il senso pubblico è quanto mai elevato, viene particolarmente esaltato il valore della mensa scolastica. Una mensa in cui i bambini non solo mangiano insieme senza eccezioni, ma devono anche “lavorare” portando i pasti e preparando e pulendo i tavoli. Un bel modo per responsabilizzare i ragazzi che in Italia sono spesso incapaci, anche se ormai grandicelli, di sistemare un letto, tanto ci pensa mammà.
In Gran Bretagna, dove il tempo pieno è pratica usuale da sempre, i bambini possono portare e mangiare in mensa anche il cestino preparato dalla mamma senza alcun problema e discriminazione di sorta.
In Italia l’importanza della condivisione nella mensa scolastica non è ancora così sentita e non basta la giustificazione dei ritardi nella diffusione del tempo pieno. Fattore che prevale nettamente nelle regioni del centro nord in cui si è sopra il 70% mentre in regioni come la Sicilia si è appena al 10%.
Di fronte a questo quadro complesso si ridimensiona in parte “il dramma” di chi vuole che il suo bambino possa consumare il panino portato da casa insieme agli altri compagni in mensa. E con essa tutte quelle problematiche connesse a possibili alimenti incontrollatamente portati da casa che potrebbero essere “assaggiati anche dai compagni”. Nel vortice delle polemiche che fanno emerge tutti i ritardi e le contraddizioni delle nostre scuole la questione centrale è la diffusione del tempo pieno e l’emergere di una scuola che sappia educare e responsabilizzare anche a quando si sta a tavola.
Nel nostro Paese i Comuni devono assicurare il servizio mensa agli studenti quando vi è il tempo pieno ma non sussiste un obbligo assoluto per le famiglie. Un quadro normativo che certo non aiuta a fare chiarezza in cui la tutela della salute alimentare è quanto mai rigida e non da certo spazio al “panino con la frittata casalinga”. In conclusione è giusto rilevare come a fianco delle “mamme in guerra” per il panino casalingo, e contro le discriminazioni subite dai figli isolati dagli altri mentre mangiano a scuola, vi sono anche genitori (caso torinese) che difendono a spada tratta la priorità della mensa e intendono “tutelarla” da invasioni di prodotti casalinghi non controllati i loro bambini.