Scritto da Gabriele Richetti
Alle origini del luppolo italiano
Nata, a differenza di oggi, come bevanda raffinata e per pochi eletti, la birra consumata in Italia fino alla metà del XIX secolo era esclusivamente di importazione: Paesi come la Francia, la Germania e l’Inghilterra vantavano in quell’epoca una tradizione birraria sconosciuta nel nostro paese.
Tuttavia, a partire dalla metà dell’800, la birra iniziò gradualmente a trasformarsi in bevanda “popolare”: il mercato del luppolo iniziava a rivolgersi a una ben più vasta categoria di consumatori e i prezzi della pregiata sostanza cominciarono lentamente a diminuire.
È in questi anni che a Torino nascono i primi birrifici, non solo cittadini, ma nazionali: il Birrificio Bosio & Caratsch e il Metzger (nel quartiere San Donato) e la fabbrica birraria Boringhieri, al fondo dell’odierno corso Vittorio Emanuele II: oltre alle zone industriali vere e proprie, tutti i birrifici dispongono in quegli anni di sale per la degustazione dei prodotti.
Alla fine del 1800, Torino contava 114 birrifici.
Il birrificio Bosio & Caratsch
La ditta Bosio & Caratsch nasce nel 1845 con il nome di Birreria del Giardino grazie all’opera di Giacomo Bosio, al quale seguiranno il figlio Edoardo e il nipote Simeone Caratsch. Birreria molto elegante, detiene il titolo di primo birrificio nato in Italia.
Tutto ciò valse al birrificio la medaglia d’oro all’Esposizione dell’Industria Italiana del 1898 e del 1911.
Sicuramente meritevole di essere ricordato è il motto dell’azienda: “Bona cervisia laetificat cor hominum”: la buona birra allieta il cuore degli uomini.
L’innovativo metodo di produzione, senza l’aggiunta di alcol, e le tecniche di sterilizzazione, consentivano alla birra torinese di essere esportata in diverse città italiane, e di essere conservata per oltre sei mesi. Soltanto nel primo decennio del ‘900, visto l’aumento dell’inquinamento registrato nel canale della Pellerina, la fabbrica fu dotata di un depuratore. Durante il ventennio fascista, complici anche le limitazioni imposte dall’autarchia, il birrificio riuscì ad esportare i propri prodotti fuori dai confini nazionali ed espanse i propri locali fino in via Principessa Clotilde 1.
Purtroppo, il periodo d’oro era ormai un lontano ricordo: dopo una serie di alterne fortune e cambi di proprietà, lo storico stabilimento fu chiuso nel 1969 per improduttività.
La birra Metzger
Karl Metzger aprì il primo birrificio nel 1848 in zona Valdocco, per poi trasferirsi nel 1862 al civico 68 della odierna via San Donato. Pubblicizzava il suo prodotto – sembra incredibile, ma ancora poco conosciuto in quegli anni per gran parte dei cittadini – come un liquido amaro dissetantissimo e nutrichevole dal sapore speciale.
Come il birrificio Bosio & Caratsch, anche il Metzger conquistò la medaglia d’oro all’Esposizione dell’Industria Italiana del 1898.
Celebre era anche, tra i contemporanei, il cancello in ferro che si affacciava su via San Donato, che purtroppo fu asportato durante la guerra.
A ricordo della fabbrica rimane però oggi la grande ciminiera, visibile in tutto il borgo di San Donato. La fabbrica Metzger chiuse i battenti nel 1975.
Nel 2014 il marchio è stato acquistato da un imprenditore, che lo ha reintrodotto sul mercato insieme alla storica birra prodotta con la ricetta originale.
La fabbrica di birra Boringhieri
L’ultimo dei neonati birrifici torinesi di metà ‘800 si trova non più in zona San Donato, ma poco distante: la fabbrica di birra Boringhieri, fondata da Andrea Boringhieri nel 1876 in corrispondenza dell’odierna Piazza Adriano.
Non ebbe vita facile per due motivi. Il primo possiamo definirlo di buon costume: la Boringhieri diventò famosissima in città per le chellerine, le ragazze bionde che servivano la birra ai tavoli. Formose e, secondo le malelingue, di facili costumi, arrivarono ad essere addirittura 670. Il nome derivava dal tedesco Kellnerin, termine che indicava proprio le cameriere delle birrerie bavaresi.
Inviperite, le signore torinesi si coalizzarono, temendo di perdere definitivamente i propri mariti: combattere due biondi insieme (quello della birra e quello delle avvenenti fanciulle) era davvero difficile. Così denunciarono i fatti alle autorità competenti, che con un decreto disposero la chiusura di tutti i birrifici che utilizzavano personale femminile. Se ne salvarono ben pochi in città.
Il secondo motivo è puramente estetico: sin da subito ai torinesi non piacque l’altezza dello stabilimento Boringhieri, che bloccava la visuale verso le tanto amate Alpi. Già negli anni ’20 si iniziò a discutere se demolire o meno i locali, ma l’unico risultato ottenuto dai cittadini indispettiti fu quello di far chiudere alla Boringhieri i tendoni dove la birra veniva offerta ai clienti per la degustazione. Dopo circa trent’anni i sabaudi brontoloni vinsero la loro battaglia: la fabbrica di birra chiuse negli anni ’50 e nel 1961 venne infine demolita.
Le Alpi erano salve. E i mariti anche.