Un altro allarme dai medici legato al Coronavirus: i pediatri hanno registrato nei bambini colpiti dal Covid-19 stati infiammatori “multi-sistemici” che evocano una forma atipica della malattia di Kawasaki.
Questa malattia, descritta per la prima volta nel 1967 in Giappone, colpisce principalmente i bambini piccoli. La sua origine non è nota con precisione e potrebbe mescolare fattori infettivi, genetici e immunitari. Tuttavia, il collegamento con il nuovo coronavirus non è stato ufficialmente stabilito e stiamo parlano di sospetti.
Spiega Maria Van Kerkhove, responsabile tecnico per il coronavirus dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms): “Sappiamo del piccolo numero di bambini che hanno subito una risposta infiammatoria simile alla sindrome di Kawasaki: è successo in uno o due paesi ed è una condizione molto rara. Ma stiamo esaminando la situazione insieme al nostro network di clinici”.
“Abbiamo esperti da tutto il mondo – ha continuato – che si riuniscono una volta a settimana e che stanno cercando di capire meglio come questa infezione colpisce il corpo. Sappiamo di questi casi, e stiamo cercando di continuare a raccogliere dati. Le recenti descrizioni di sindrome infiammatoria simile alla malattia di Kawasaki sembrano essere molto rare, ma il network sta studiando i dati per capire meglio cosa sta succedendo e come affrontarlo”. “A questo proposito vorrei aggiungere delle parole per tranquillizzare i genitori – ha proseguito Mike Ryan, capo del Programma di emergenze sanitarie dell’Oms – ricordando che la maggioranza dei bambini colpiti da Covid-19 ha sintomi lievi e guarisce”.
Ma cos’è la sindrome di Kawasaki e come si cura?
La sindrome di Kawasaki è “una vasculite febbrile non contagiosa. Nella maggioranza dei casi, circa l’80%, si manifesta entro i cinaue anni di età, con un picco di incidenza intorno ai 2.”
“La vasculite della malattia di Kawasaki si presenta con una flogosi della parete dei vasi di piccolo e medio calibro di tutti i distretti dell’organismo, ma ha una particolare predilezione per i vasi arteriosi coronarici.
“Nella vasculite delle coronarie c’è una tipica proliferazione dell’intima con infiltrazione della parete vascolare da parte di cellule mononucleate. Questo, insieme alla compromissione del flusso sanguigno, può contribuire alla formazione di coaguli di sangue e trombi che determinano un restringimento dei vasi fino anche all’occlusione con necrosi dei tessuti”.
I Sintomi
L’esordio è con febbre elevata con algie, modulazione dell’umore, irritabilità, anoressia e prostrazione. Presente il coinvolgimento delle mucose (congiuntivite bulbare, cheilite) e lingua a fragola: forma allargata e papille gustative rossastre che punteggiano la superficie linguale.
I linfonodi sono spesso dolenti e risultano molli alla palpazione e la pelle che li ricopre arrossata e calda. L’interessamento cutaneo inizia con un edema e un eritema palmo-plantare. “Successivamente, c’è l’insorgenza di un esantema polimorfo di aspetto maculo-papulare che evolve a gettate o in un solo tempo. Infine, c’è la comparsa di desquamazione a livello delle ultime falangi delle dita, associata spesso a trombocitosi. Altre manifestazioni possono essere di tipo articolare, gastroenterico, meningeo e urinario”.
“Durante il I stadio la flogosi acuta si localizza a livello del tessuto perivascolare e rende ragione della miocardite e dei disturbi di conduzione elettrica; nel II stadio, il rischio di formazione degli aneurismi è massimo (15-20 % di probabilità); durante il III stadio possono formarsi trombi a livello dei vasi colpiti; l’ultimo stadio, il IV, è quello della cicatrizzazione.
La fase di convalescenza si protrae per circa tre mesi, al termine dei quali i tipici segni della sindrome di Kawasaki scompaiono, nonostante possano permanere alcuni disturbi cardiaci. Possibili anche epatopatie e addominalgia”.
“La complicanza più temibile è rappresentata dagli aneurismi “a grani” delle coronarie. Essi consistono in dilatazioni progressive delle arterie coronarie che possono evolvere imprevedibilmente, restare latenti o rivelarsi con un accidente acuto (morte improvvisa). La sorveglianza clinica, elettro ed ecocardiografica è fondamentale. La malattia può presentarsi in forma classica, incompleta ed atipica”.
Diagnosi
La diagnosi della sindrome di Kawasaki, forma classica, è posta in questi casi:
febbre ≥ 5 giorni associata a ≥ 4 criteri diagnostici, anche senza attendere l’esecuzione dell’ecocardiografia
febbre ≥ 5 giorni e < 4 criteri diagnostici con anomalie ecocardiografiche delle arterie coronarie
febbre al 4o giorno con ≥ 4 criteri diagnostici ed anomalie ecocardiografiche
Tra i criteri diagnostici si ricordano: febbre (elevata, per più di 5 giorni e che recidiva dopo la sospensione dell’antipiretico), iperemia congiuntivale (bilaterale e senza essudazione), lesioni labiali e della cavità orale (arrossamento, secchezza delle labbra, lingua a fragola), esantema (maculo-papulare morbilliforme o scarlattiniforme), alterazioni delle estremità (desquamazione delle punte delle dita delle mani e dei piedi) e linfoadenopatia cervicale.
Nella diagnosi differenziale bisogna considerare patologie infettive e non: virali (rosolia, mononucleosi e infezioni da adenovirus, enterovirus, citomegalovirus, herpes virus, parvovirus B19), reazioni da ipersensibilità a farmaci, scarlattina, sindrome di Stevens-Johnson, sindrome da shock tossico, artrite idiopatica giovanile, staphylococcal scalded skin syndrome, linfadenite laterocervicale batterica, panarterite nodosa, tularemia, leptospirosi, bartonellosi, sarcoidosi, rickettiosi e acrodinia da intossicazione da mercurio.
Prognosi
Tra i fattori prognostici negativi ci sono: il sesso maschile e l’età inferiore ad 1 anno. Sul piano pratico, la possibilità di una contemporanea infezione batterica deve comportare l’effettuazione di una terapia antibiotica. Nella stragrande maggioranza dei casi, la prognosi è buona poiché la malattia è autorisolutiva. In alcuni casi invece, a causa dei disturbi cardiaci e dell’interessamento coronarico, la prognosi è infausta con un tasso complessivo di mortalità dello 0,5-2,8%.
Terapia
Per la terapia, i corticosteroidi sono sconsigliati. La somministrazione, prima del 10° giorno, di gammaglobuline ad alte dosi per via endovenosa associate ad acido acetilsalicilico, potrebbe influenzare il decorso in senso favorevole della malattia.
Fonte Medimia Magazine