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sabato, 27 Luglio 2024

Santa sugli altari, ma non ad essi consacrata (Seconda parte)

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Le ragioni addotte dal magistero a sostegno del suo fermo rifiuto all’ordinazione delle donne sono molteplici, reperite sia nella Bibbia che nella Tradizione ecclesiastica. Centrale è ritenuta quella basata sulla narrazione dell’“Ultima cena”, nella quale Gesù avrebbe istituito l’eucarestia e conferito ai “Dodici”, supposti i soli presenti tutti maschi, il potere di celebrarla, dando, così, l’avvio al ministero sacerdotale. Ora su quella celebrazione molti sono gli interrogativi: i “Dodici” sono identificabili con gli ”Apostoli”? La cena fu pasquale o usuale? Veramente non c’era una presenza femminile? Questioni che nascono prima che da difficoltà esegetiche, dalle discordanze tra gli stessi scritti neotestamentari sulle quali la chiesa sorvola, dando una perentoria interpretazione da cui scaturiscono i suoi “no” al sacerdozio delle donne.

Una malferma motivazione contrastata dalla Bibbia stessa sulla base di due passaggi scritturali correlati. 1°- Antico Testamento: Genesi, 1,27: “Dio creò l’essere umano maschio e femmina”. Dunque un’unica realtà, l’essere umano, in due generi. Stessa identità, stessa dignità e, quindi, stessi diritti. 2°- Nuovo Testamento: il già citato passo di Paolo nella lettera ai Galati, 3,28, che riafferma lo stesso concetto: “Non c’è né uomo né donna, poiché voi tutti siete uno in Cristo”. Un’identità che se non vale per la società storica, come dichiara Paolo, è realtà nel corpo mistico di Cristo e conferma l’originaria parità di maschio e femmina, con le stesse conseguenze in dignità e diritti. Dunque, nella chiesa, corpo di Cristo, le questioni di genere sono assurde.

Infine, l’obiezione di carattere specificamente sacramentale. Nella celebrazione eucaristica il sacerdote agirebbe in persona Cristi, cioè come se il celebrante fosse Cristo stesso, di sesso maschile. Una ragione da teologia di casta che, rigorosamente accolta, imporrebbe al prete, almeno nell’atto sacramentale, la santità e la purezza di Cristo. Un bel guaio! Non per nulla la saggezza, o l’astuzia, ha spinto la chiesa a stabilire il principio che i sacramenti agiscono ex opere operato, cioè indipendentemente dalla situazione morale e spirituale di colui che li amministra.

Resta il baluardo della “Tradizione”. Dice il cardinale Walter Kasper, teologo di fama: “Fondata sul vangelo c’è una ininterrotta tradizione non solo nella chiesa cattolica, ma in tutte le chiese del primo millennio in base alla quale la consacrazione sacerdotale ed episcopale è riservata agli uomini”. Al riguardo, due osservazioni. In primo luogo questa tradizione non è ininterrotta. Come si è detto nel precedente articolo sul tema, del diaconato sacramentale delle donne hanno espressamente parlato più d’un concilio, di cui due ecumenici, quindi accolti dalla chiesa universale. In secondo luogo, certo la Tradizione, per la chiesa cattolica, è il secondo pilastro della fede, senza il quale crollerebbero molte sue “verità”, ma è da dimostrare che tutta la Tradizione “sia fondata sul vangelo”. Molta sua parte è radicata piuttosto nelle culture del tempo, longeva magari, ma non per questo evangelica. Nelle culture sia ebraica del tempo di Gesù che greco-romana nella quale la chiesa si sviluppò, la donna aveva sì suoi spazi di attività e godeva di considerazione e relativa libertà, ma nella vita pubblica e religiosa non era affatto alla pari con l’uomo. Un sacerdozio femminile nell’ebraismo era inconcepibile allo stesso Gesù, se mai pensò ad un sacerdozio di sua fondazione. Quella specifica cultura non poteva partorire che una tradizione ripulsiva d’un ministero femminile. I vangeli sono scritti di quel tempo e di quella cultura, dunque da decontestualizzare per renderli comprensibili e orientativi oggi. Un’ovvietà che ha spinto le chiese non “tradizionaliste”, anche quelle che riconoscono al ministero sacerdotale valore sacramentale, ad accogliere in esso le donne. Di quanti concili necessiterà la chiesa romana per raggiungerle?

Se le “Tradizioni” ricevono la loro forza dai vangeli, un contributo per la soluzione del problema in oggetto proverrebbe dall’indagarli a fondo sul rapporto di Gesù con la donna. Ne emergerebbe un quadro rivoluzionario rispetto al tempo. La donna è tratta fuori dalla penombra domestica dov’era confinata, liberata dalla credenza di una sua costitutiva impurità, accolta al seguito di Gesù discepola ed annunciatrice della sua parola alla pari con l’uomo. E’ lei, lasciata in solitudine dai maschi pavidi e fuggitivi, la compagna e la testimone del momento tragico e supremo della missione del Maestro: la crocifissione. Sarà ancora lei ad annunciare ai rintanati “Dodici” la tomba lasciata vuota dal Signore. Ne risulterebbe una spinta decisiva alla riconsiderazione della collocazione e del ruolo della donna nella chiesa, a cui aggiungere un sincero confiteor per i passati secoli nei quali essa fu sì devotamente collocata sugli altari, ma resa oramai silente dalla morte.

Fino a quando la donna dovrà scontare il suo peccato di genere? Per ora le posizioni nella chiesa sono babeliche. Gerhard Gaede, con molti altri teologi, ritiene che “l’ordinazione delle donne è possibile, ma inverosimile”. Il cardinal Kasper prevede “due secoli” per una soluzione positiva. Robert Sarah, cardinale della curia romana, giudica i ministeri per le donne una “mostruosità”. Francesco è sodale col no di Wojtyla. Che ci azzecchi almeno Kasper! (2, fine)

Scritto da Vittorino Merinas

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