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venerdì, 15 Novembre 2024

Ratzinger, Bergoglio e il continuo assordante silenzio del Vaticano sul caso Orlandi

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Moreno D'Angelo
Moreno D'Angelo
Laurea in Economia Internazionale e lunga esperienza avviata nel giornalismo economico. Giornalista dal 1991. Ha collaborato con L’Unità, Mondo Economico, Il Biellese, La Nuova Metropoli, La Nuova di Settimo e diversi periodici. Nel 2014 ha diretto La Nuova Notizia di Chivasso. Dal 2007 nella redazione di Nuova Società e dal 2017 collaboratore del mensile Start Hub Torino.

Caso Orlandi. Per quale motivo il Vaticano dovrebbe rispondere e di cosa? Fino ad ora ufficialmente sulla vicenda il Vaticano ha mantenuto e desiderato solo una cosa: il silenzio o meglio l’oblio. Tutto quanto emerso sono libere interpretazioni, piste, presunti dossier, promesse di inchieste chiarificatrici.

Le visite alle tombe teutoniche, le rare dichiarazioni di apertura sono state come gentili concessioni, gesti di disponibilità spontanei, di chi sa bene che in quelle cripte e in quelle carte non vi è nulla che possa far risalire alle due povere ragazze scomparse nel 1983: Mirella Gregori il 7 maggio ed Emanuela quaranta giorni dopo.

L’unico prelato Vaticano indagato (nel maggio 2012) è stato il discusso Don Piero Vergari, ex rettore della Basilica di Sant’Apollinaire, con l’accusa di sequestro di persona. E’ proprio uscendo da Sant’Apollinaire che Emanuela sparì nel nulla dopo una lezione di flauto.  Di Vergari ha sempre insospettito la sua grande amicizia con il boss della Magliana Renatino De Pedis che, all’età di 30 anni, pare sia stato colui che avrebbe contattato la ragazza per proporgli un lavoro strapagato per una ditta di cosmetici e che l’avrebbe poi fatta sparire  quel 22 giugno 1983. 

Si tratta di ipotesi, ma la realtà è che quel boss nella sorpresa generale fu sepolto (morì all’età di appena 36 anni) proprio in quella basilica con il benestare del cardinale Poletti, ritenuto molto vicino ad esponenti della Magliana o meglio dei cosiddetti “testaccini”.

Altro elemento concreto riguarda l’ex procuratore generale di Roma Giuseppe Pignatone , protagonista dell’inchiesta “Mafia capitale”, colui che archiviò nel 2015 senza colpevoli la lunga vicenda giudiziaria legata alla scomparsa di Emanuela Orlandi e dell’altra quindicenne, sparita quaranta giorni prima, Mirella Gregori (nonostante i diversi inquisiti e i concreti quadri investigativi  emersi nella lunghe indagini  condotte dal procuratore Capaldo). Pignatone è stato nominato da Papa Francesco nel ruolo di presidente del tribunale vaticano.

Un fatto che ha portato alla sarcastica reazione dalla Turchia di Ali Agca, l’attentatore del Papa Wojtyla, con una nota del 2019, ripresa dall’Ansa priva dei consueti proclami millenaristici, 

Dopo questo excursus sul perché il Vaticano formalmente non abbia nulla da temere sul piano giudiziario (non sappiamo su quello spirituale) c’è da ritenere che la Santa Sede presumibilmente perpetrerà nel suo silenzio. Una considerazione che prende spunto dall’ultima legittima iniziativa di Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, che ha chiamato in causa il Papa emerito Benedetto XVI, nel corso dell’ennesima iniziativa, a 37 anni dal rapimento della ragazza. 

Il fratello Pietro Orlandi, continuando ad attendersi qualche sorpresa positiva dalla Santa Sede in grado di smuovere il perdurante stallo, anche dopo le bufale delle ossa, delle tombe teutoniche e tanti silenzi, ha rivolto un appello al Papa emerito Ratzinger perché dica quello che sa, (non portandosi i segreti nella tomba come per Papa Wojtyla). Si tratta di una mossa in evidente polemica contro quel Papa Francesco che tante speranze aveva alimentato e che più volte Pietro tentò di incontrare. Un Papa che “gli gelò il sangue” quando riuscì ad avvicinarlo, insieme ai suoi familiari, poco dopo la sua elezione nel 2013 nella Chiesa di S. Anna in Vaticano. “Lei sta in cielo” è la frase che distrusse in un attimo tante speranze riposte in un Papa ritenuto da tutti un grande innovatore. 

Una frase che ispirò anche un film che prometteva l’apertura di verità sconvolgenti ma che poi non apri nulla se non un cenno ad una presunta trattativa portata avanti segretamente dal Vaticano per trovare una via d’uscita dall’imbarazzante e interminabile vicenda di rilievo internazionale. Una vicenda che vede sempre tirata in ballo la Santa Sede per quella quindicenne, cittadina vaticana, sparita nel nulla dopo una lezione di flauto nella basilica di Sant’Apollinaire. 

Ma parlare di coinvolgimento è un termine troppo generico per quanto la tesi del ricatto internazionale dica chiaramente che la pressione dei rapitori fu in primo luogo  sul papa polacco per osteggiare la sua linea politica duramente  anticomunista che contribuì non poco all’implosione del sistema sovietico.

SI è parlato di una linea telefonica 158, (che riprendeva il tema del mistero di Fatima), attivata per comunicare con i rapitori, di dossier, di trattative, di aperture di inchieste, ma nel concreto nulla è stato ufficializzato.  

Certo è meno noto che In Vaticano, nell’epopea di Papa Wojtyla, il nome Orlandi non dovesse mai essere pronunciato e addirittura anche una sua immaginetta sulle scrivanie dei suoi uffici non fosse tollerata.  

Ma prima di Bergoglio non è che da parte del Vaticano si siano mai registrate particolari azioni di disponibilità sul caso: vedi quelle rogatorie mai riconosciute e quelle promesse di inchieste interne. La collaborazione si è di fatto fermata agli appelli di Papa Wojtyla poco dopo il rapimento della ragazza con la fascetta. 

Ora c’è da chiedersi se questa chiamata in causa del Papa emerito, questo legittimo appello che pare rivolto più all’”uomo” che al Papa, ormai di 93 anni, avrà qualche sviluppo. Un Papa che non ha mai espresso nulla di particolare sulla questione Orlandi. 

Si tratta di un’iniziativa che potrebbe aprire il fianco a facili strumentalizzazioni e mosse critiche da parte dei sovranisti mondiali che vedono Bergoglio con il fumo negli occhi e che spesso dipingono Papa Ratzinger come una sorta di loro icona, nonostante la freddezza del Papa emerito anche nei loro confronti. 

Pietro Orlandi in assoluta buona fede non avrà certo considerato questi aspetti ma  la sensazione è che difficilmente da Oltretevere possa pervenire una briciola di verità dopo 38 anni. 

Ma non fu solo Orlandi a sperare in qualche sorprendente rivelazione da parte di qualche canuto porporato o sacerdote legato al Vaticano, in merito al destino e sul percorso verso nord che avrebbe fatto Emanuela prima di sparire nel nulla. Di fatto dopo anni di tracce, ipotesi , piste e mezze parole non si è mai cavato un ragno dal buco. Ora si spera ancora in qualche improbabile colpo di scena. Un fatto legittimo e sempre auspicabile da parte di chi ha sofferto e si è attivato tutta una vita per avere uno squarcio di verità su quell’innocente immolata in un gioco incredibile che secondo la “tesi internazionale” puntava, come avvenne, a far cadere le accuse ai bulgari come mandanti dell’attentato al Papa, promettendo una possibile grazia ad Ali Agca. 

La sensazione è che uno dei rari personaggi che fu veramente e seriamente coinvolto nella ricerca della verità in modo riservato ma concreto fu il presidente Sandro Pertini. La sua azione riguardò il caso Mirella Gregori che pare abbia avuto subito un tragico epilogo.

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