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sabato, 27 Luglio 2024

Piazza Fontana: depistaggi, misteri e nessun colpevole

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Moreno D'Angelo
Moreno D'Angelo
Laurea in Economia Internazionale e lunga esperienza avviata nel giornalismo economico. Giornalista dal 1991. Ha collaborato con L’Unità, Mondo Economico, Il Biellese, La Nuova Metropoli, La Nuova di Settimo e diversi periodici. Nel 2014 ha diretto La Nuova Notizia di Chivasso. Dal 2007 nella redazione di Nuova Società e dal 2017 collaboratore del mensile Start Hub Torino.

La strage di Piazza Fontana ha compiuto 52 anni. Un tragico evento rimasto nell‘immaginario collettivo (anche per chi all’epoca era un ragazzino). Dieci processi e nessun colpevole, fughe all’estero degli imputati, latitanze e immancabili depistaggi. Alla fine tutti assolti, tra ambiguità, servizi deviati e pazienza per i 17 morti e 88 feriti (persone che son sopravvissute ma che hanno subito amputazioni o danni e traumi irreversibili). 

Uno scenario che si è spesso ripetuto nel nostro Paese ma che rafforzò la coscienza e la reazione democratica popolare di un’intera generazione di giovani.  Uno scenario in cui fu lasciato campo libero alle  forze nere ultraconservatrici di scatenarsi, anche  con terrificanti attentati, per fermare l’onda di proteste crescenti contro  la guerra del  Viet Nam e per una società più giusta libera.  Lotte che incendiarono un intero continente dando ulteriore spazio a sogni rivoluzionari che portarono a nuove tendenze ma anche alla deriva terroristica.    

Quel 12 dicembre 1969 fu un momento topico della storia italiana che diede il via alla strategia della tensione e agli anni di piombo. Quel giorno si aprì un ulteriore vortice che portò milioni di giovani in piazza. Tra assemblee, occupazioni e collettivi.  Giovani che anche dopo anni di silenzi e ambiguità, urlavano: “Dodici dicembre la strage è di Stato, il proletariato non ha dimenticato”. 

Un moto di libertà per fermare concreti rischi di golpe. Questo In un panorama allucinante che vedeva regimi fascisti in Portogallo, in Spagna, in Sud America, per non parlare dell’esempio dei colonnelli in Grecia. 

Quel 12 dicembre non ci fu solo la bomba nella banca dell’Agricoltura (17 morti e 88 feriti).  Solo per un fortunato caso le altre bombe, piazzate in Piazza della Scala e in altri uffici giudiziari, non esplosero. A Roma invece si contarono 16 feriti. 

Ricordo come, qualche anno dopo quella strage, lessi con attenzione, insieme Cent’anni di solitudine di Marquez, un volumetto con la contro indagine anarchica su Piazza Fontana. Una denuncia articolata e argomentata che alimentò la protesta contro le macchinazioni che coprirono la ricerca della verità e dei veri colpevoli e mandanti. Protesta che fece da argine contro possibili svolte autoritarie.  Sono gli anni del Cile di Salvador Allende e della sua Unitad Popular, schiacciata dalla  feroce repressione di Pinochet, che tanta solidarietà alimentò nel nostro paese. 

La vicenda della strage di Piazza Fontana fu emblematica. La ricerca del mostro da sbattere in prima pagina fu la cartina di tornasole di un regime vetusto, ancora pieno di nostalgici nei gangli chiave delle sue istituzioni.  Come noto fu individuato l’identikit del killer perfetto da mostrare alle masse: quel Pietro Valpreda anarchico, ballerino, gay e nemmeno simpatico. Uno decisamente fuori dall’ordine sociale costituito di tempi in cui l’adulterio era ancora considerato un reato. (”La moglie adultera è punita con la reclusione fino a un anno. La pena è della reclusione fino a due anni nel caso di relazione adulterina”art. 559 CP).  

Oltre a Valpreda tra i fermati vi fu quel Giovanni Pinelli. Ferroviere che secondo gli anarchici “è stato suicidato” accedendo un vortice di infinte polemiche e drammatiche conseguenze e vendette che diedero il via agli anni di piombo.  

Quella strage fu davvero un viatico per una strategia della tensione mirata a fermare un movimento operaio e studentesco imponente che guardava a sinistra ma non alla Russia sovietica. 

Dopo la strage vi fu una sequela di attentati che caratterizzarono quegli anni di piombo in cui emerse il drammatico fenomeno del terrorismo. Una variabile che inizialmente trovò anche consensi in una classe operaria esasperata da quanto accadeva in fabbrica, nelle immense catene di montaggio, ma fu proprio quella classe a decretare la sua fine prendendo le distanze da una deriva criminale inaccettabile. 

Una strategia della tensione che apri la vergognosa stagione di quei misteri italiani. Tutti con una costante: non vi è mai un colpevole. Una fila interminabile di attentati che passa dalla bomba alla manifestazione sindacale di piazza della Loggia (maggio 1974) al treno Italicus del 4 agosto 1974 (12 morti), fino alla strage di Bologna del 2 agosto 1980 (85 morti). Per passare all’uccisione di Pasolini, (dove pare furono tre personaggi, legati a servizi deviati, a finire lo scrittore e non il debole Pelosi), fino ai surreali interventi di dell’aeronautica militare per coprire quanto successe all’Itavia in volo sopra Ustica nel 1980.  Senza andare a riprendere quel caffè al cianuro che mise fine alla vita del potente banchiere, mentre  restano accese le polemiche su Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana sparita nel nulla dopo una lezione di musica a Sant’Apollinaire il 22 giugno 1983.

Sono i misteri italiani. Quei cold case su cui permane da decenni una spessa coltre di nebbia insieme a mirate operazioni di depistaggio. Un quadro inquietante su cui ogni tanto qualche politico illuminato promette di svelare omissis custoditi in dossier riservati ma senza che ne seguano significativi esisti.  Un po’ come negli Usa quando si promette di dare una sbirciatina agli archivi sugli Ufo. 

 Intanto sono passati 52 da piazza Fontana senza alcun barlume di giustizia e verità per le tante vittime innocenti.  In nome della ragion di Stato si sono coperte troppe azioni infamanti e non è sana una società che non è in grado o ha paura di fare i conti con il proprio passato. 

A quanto pare anche nel nuovo mondo liberal, dominato dagli algoritmi dietro cui si celano le decisioni dei soliti potenti, fra tanti innegabili progressi permane la paura di aprire squarci di verità assoluta. Mentre i polli di Renzo continuano a bisticciare stupidamente.

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