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sabato, 27 Luglio 2024

Patrick Melrose: le favole, semplicemente, non esistono

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Scritto da Sara Collicelli
Vengo io con questa mia per confessare un terribile tradimento estivo: ho abbandonato, seppur per poche ore, Netflix in favore di SKY Atlantic. L’ho fatto per un motivo molto più che valido, però. Un motivo che ha un nome e un cognome : Benedict Cumberbatch.
Premetto che si, sono estremamente di parte. Perché per me Ben è uno dei migliori esemplari di maschio e di attore che abbiamo sul panorama mondiale degli ultimi anni. È stato un meraviglioso Sherlock, è stato un incredibile Alan Turing, è stato Doctor Strange, è stato il cattivo di Star Trek ed è stata la voce di Smaug. Insomma, un figo pazzesco.
E questa volta indossa dei panni, a mio avviso, scomodissimi, regalandoci (a detta di tutti) una delle sue interpretazioni più magistrali in assoluto. Sono di parte, si, ma forse non troppo.
Dal 9 luglio abbiamo incontrato Patrick Melrose. «Narcisista. Schizoide. Alcolista con manie suicide», come si definisce lui stesso presentandosi a una ragazza durante un ricovero in clinica.
Ma andiamo, come sempre per ordine.
Patrick Melrose è, per questo credo sia uno dei ruoli più difficili da interpretare e da analizzare, basato su una storia vera. È l’adattamento, in cinque comode puntate, di cinque romanzi autobiografici di Edward St Aubyn.
Che sia la storia di una caduta, vorticosa, verso il baratro più profondo per poi (forse) risalire ce lo dicono già i titoli delle puntate: Cattive Notizie; Non Importa; Qualche Speranza; Latte Materno; Alla Fine.
La miniserie racconta di Patrick, figlio dell’alta borghesia britannica. Perché allora dico che “le favole, semplicemente, non esistono”?.
Perché, molto banalmente, non è trascorrere le vacanze estive in una bellissima villa in Provenza con alberi di fico talmente ricchi da lasciar cadere i frutti a terra e marcire. Non è vivere, apparentemente, nella bambagia che rende la vita una favola. Questo ormai credo lo abbiamo capito tutti.
Perché nella meravigliosa villa in Provenza Patrick cresce in una famiglia altamente disfunzionale. Una mamma alcolizzata e dipendente dai farmaci. Un padre abusante, violento.
E in questo contesto di violenza, di soprusi, dove l’aria è irrespirabile anche per noi che guardiamo i suoi ricordi, cresce un giovane tossicodipendente e alcolizzato.
La miniserie si apre con lui che apprende della notizia della morte del padre, potete quindi facilmente immaginare le reazioni. Un crollo nella dipendenza dell’alcol, richiesta di aiuto e tentativi di disintossicazione. Che lo portano a compiere un viaggio tra i ricordi di un passato che ha a lungo rimosso, dice infatti  spesso che non dirà mai tutto a tutti fino a che sopraffatto dal dolore e dal peso lo racconterà al suo sponsor.
La miniserie è appena iniziata, quindi non racconto tutto. Odio gli spoiler! Vi dico solo che le cinque puntate vanno dal 1982, morte del padre, fino al 2005.
Vorrei però, riprendere, quella descrizione iniziale che lui fa di se stesso e provare a ragionarci insieme.
Che sia un’alcolista, beh, è abbastanza evidente. Nulla da obiettare. Sul fatto che sia un narcisista e schizoide… come direbbe Peter Griffin… “momentomomentomomento”.
Prima di tutto, perché sia fatta diagnosi di disturbo schizoide deve esserci scarso o nessun interesse per le esperienze sessuali e il nostro Patrick ha una moglie e due figli, cosa che ci porterebbe a escludere tale diagnosi. Non penso sia neanche uno schizofrenico, le allucinazioni di Patrick sono allucinazioni dovute all’alcol e ai farmaci di cui abusa.
Dice di essere un narcisista, ma escluderei anche questo. I narcisisti mancano di empatia, Patrick ne ha. L’alcol la maschera, ma c’è. I narcisisti hanno un senso di grandiosità, di superiorità, sono spesso invidiosi. Sono assorbiti da fantasie di successo. Patrick è semplicemente avvolto in questa coperta di autolesionismo e autodistruzione. No, secondo me decisamente non è schizoide, non è schizofrenico e non è neanche narcisista. Forse un “banale” disturbo da stress post-traumatico? Sembrano esserci molti dei criteri diagnostici del DPTS. Anzi, a legger bene.. sembrano esserci tutti. Ricordi intrusivi, profonda sofferenza psicologica, esposizione a eventi traumatici, difficoltà di ricordare eventi legati al fatto traumatico.
Si, ma l’alcolismo? Tutti i disturbi mentali che il Manuale Diagnostico ci presenta hanno tra i criteri di esclusione “alterazione non attribuibile agli effetti fisiologici di una sostanza (per es. farmaci, alcol) o un’altra condizione medica”. Allora perché escludo la schizofrenia per via dell’alcol, ma non il DPTS?
Perché, a mio avviso, l’alcolismo è la risposta di Patrick al suo trauma. Non è stato in grado di affrontarlo, non ha mai avuto modo di parlarne con nessuno. Non si è mai confidato con nessuno. Ha così dovuto cercare il suo modo per affrontarlo. E ha scelto la via dell’anestesia alcolica per farlo.
In pratica, allucina perché ubriaco ed è ubriaco (e strafatto) perché soffre.
Una sofferenza che arriva dal “latte materno” della quarta puntata. Il latte materno che non ha ricevuto. Non perché non sia stato attaccato al seno, questo non lo sappiamo. Ma non ha mai ricevuto l’amore materno. La protezione.
Le cinque puntate di Patrick Melrose sono un susseguirsi incessante di perché che restano in sospeso e ai quali non si riesce a dar risposta. L’interpretazione di Ben fa vivere anche a noi che siamo semplici spettatori il dolore di quei perché. Detti, urlati, pianti… biascicati. Li viviamo e vorremmo anche noi le risposte che cerca Patrick.
Perché non mi hai protetto, mamma?
Patrick Melrose è questo, per me. È la domanda delle domande. Perché hai fatto quello che hai fatto?
È difficile non raccontare come finisce Patrick Melrose, perché gli ultimi 10 minuti sono quello che ogni psicoterapeuta sogna accada ai suoi pazienti.
Posso dirvi questo. Le favole non esistono. Esistono le storie. E c’è una differenza abissale tra le due. Ognuno ha la sua di storia. Sta a noi renderla una favola.

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