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sabato, 27 Luglio 2024

Come stiamo affrontando la rivoluzione tecnologica

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I social network hanno trasformato la partecipazione in protagonismo. Sempre più spesso si usano questi strumenti solo per mettersi in mostra: o esibendo il proprio corpo, come accade ad esempio su Instagram, oppure sfogandosi su Facebook.
Le migliaia di commenti che leggiamo ogni giorno dagli utenti dei social potrebbero far pensare ad un sano sviluppo della partecipazione delle persone al dibattito pubblico ma, diciamo le cose come stanno, il più delle volte finiamo tutti per dare solo libero sfogo alle frustrazioni che ci trasciniamo nella vita di ogni giorno senza nessun apporto utile alla vita della comunità.

Ormai, non si sa bene per quale motivo, ci sentiamo obbligati a commentare tutto, e subito, qualunque cosa accada, senza elaborare un pensiero nostro non appiattito sul mainstream dominante.
Per non parlare del pessimo rapporto che si è creato tra le persone nel mondo virtuale e, a cascata, in quello reale. Anche perché, a ben vedere, ci ha dato la possibilità di scoprire cosa pensa il nostro vicino di casa, che sino ad allora salutavamo spensierati sul pianerottolo o per le scale di casa.

Oggi, grazie ai canali social, sappiamo cosa “pensa” delle questioni politiche o di attualità e, purtroppo, spesso leggiamo certi commenti che ci fanno cambiare drasticamente idea su di lui.
Alzi la mano chi in questi giorni non ha letto un gran numero di fesserie sulla cooperante Silvia Romano da parte di qualche suo conoscente. Io personalmente molte.

E poi veniamo ai maledetti gruppi WhatsApp. È allucinante ma ormai la metà delle incomprensioni tra persone derivano da lì, dove scriviamo senza filtri, dove diamo per scontato un certo tono nell’interlocuzione con l’altro, lì dove nei commenti prevale una certa arroganza e saccenza che non sfoggeremmo mai dal vivo.

Questo accade perché non avendo fisicamente l’interlocutore davanti non abbiamo gli strumenti per valutare, ad esempio, se una certa frase e ironica oppure no.
Com’è noto, il linguaggio si divide in tre forme: verbale, paraverbale e non verbale. E potrebbe stupirvi ma il 55% del messaggio comunicativo è dedotto dal linguaggio del corpo (cioè da quello non verbale). Gli aspetti paraverbali incidono per il 38%, mentre le parole in sé hanno un’incidenza solamente del 7%.

E per comprendere quanto ormai sia pervasiva la tecnologia basti pensare che in media tocchiamo lo schermo del nostro telefono più di 2000 volte al giorno, ma i più forti utilizzatori arrivano a 5000 e il 25% delle persone passa circa 7 ore davanti al cellulare. Gli schermi ormai forniscono il genere di stimoli che il nostro cervello considera come informazioni vitali: luci, suoni, colori e movimento. Non è il nostro cervello ad essere cambiato con l’avvento degli schermi, sono questi a essersi artificialmente evoluti per andare d’accordo con il nostro cervello.

La rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo, senza accorgercene, ci travolgerà. Gli stessi pc cambieranno e diventeranno computer quantistici che stravolgeranno il nostro modo di pensare, potranno risolvere certi problemi 3000 volte più rapidamente del nostro attuale PC più veloce. A queste cose ci lavorano da anni colossi come Google, IBM e INTEL.

Il mondo sta cambiando e stiamo cambiando pure noi ma non sempre in meglio, per questo sarebbe opportuno fermarsi e riflettere.
Dovremo certamente andare avanti a sviluppare i settori dell’innovazione tecnologica per migliorare le nostre vite e per creare ricchezza che faccia da volano per le nostre economie, ma quando si allenterà l’emergenza e la necessità di distanziamento sociale dovremo essere in grado di ricreare degli spazi per la socialità non mediata dalla tecnologia. Siamo ormai certamente una comunità globale e interconnessa, ma il concetto stesso di comunità, che etimologicamente deriva dal concetto di comunione, ovvero di dare e darsi, ci insegna che affinché una società sia “comunità” occorre la comprensione di sé e dell’altro. Per questo serve tornare a guardarsi negli occhi, senza che sia solo uno smartphone a farlo per noi.

Fabio Versaci
(consigliere comunale di Torino del Movimento Cinque Stelle)

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