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sabato, 27 Luglio 2024

Caso Orlandi: veleni e cappucci in Vaticano

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Moreno D'Angelo
Moreno D'Angelo
Laurea in Economia Internazionale e lunga esperienza avviata nel giornalismo economico. Giornalista dal 1991. Ha collaborato con L’Unità, Mondo Economico, Il Biellese, La Nuova Metropoli, La Nuova di Settimo e diversi periodici. Nel 2014 ha diretto La Nuova Notizia di Chivasso. Dal 2007 nella redazione di Nuova Società e dal 2017 collaboratore del mensile Start Hub Torino.

Per inquadrare la vicenda Orlandi è importante inserirla in quegli anni caratterizzati dallo scontro tra est e ovest, con un Wojtyla deciso a sfidare l’impero sovietico partendo dalla sua Polonia. Una guerra fredda che aveva il suo seguito, senza esclusione di colpi, anche in Vaticano tra chi voleva bloccare l’ostpolitik e chi intendeva portarla avanti. Ed è proprio in questa fase che esplodono gli scandali legati a IOR (Istituto per le Opere di Religione) e Banco Ambrosiano. 

In questo contesto si radicalizza lo scontro sotto il Cupolone tra il pragmatico IOR, guidato Dal Massone Paul Marcinkus (nome in codice Arpa) e l’ultraconservatore Opus Dei, grande elargitore di fondi alla causa anticomunista e all’epoca vicino ad alcuni di quei generali argentini responsabili dei tragici voli della morte in cui finivano migliaia di oppositori e semplici studenti desaparecidos. E’ quindi possibile che le macabre logiche di ricatto che hanno coinvolto giovani innocenti possano aver riguardato anche lo scontro senza esclusione di colpi tra queste due realtà, con il supporto di elementi della malavita e faccendieri senza scrupoli che tanto andavano di moda in quegli anni. Un periodo, a cavallo tra gli anni 70 e 80 in cui loggia P2 dominava incontrastata nei gangli del potere politico, economico e mediatico e in cui erano presenti anche eminenti catto massoni. I tempi di Ustica. 

In questo quadro si inserisce il crack del Banco Ambrosiano, con la strana e mai chiarita morte di Roberto Calvi, presidente dell’istituto, trovato impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra. L’ambrosiano crollò, mentre la cordata massonica riuscì a mantenere il controllo della banca vaticana, dopo un durissimo scontro rimasto nell’ombra grazie alla  riservatezza e ai silenzi deidiversi soggetti coinvolti, porporati e non. 

In questo quadro papa Wojtyla superstar sposò pienamente la linea conservatrice opusiana, da cui ottenne un grande sostegno con una pioggia di finanziamenti, mentre infuocava, per quanto celato, il contrasto con quella cordata pragmatica lituano francese in salsa massonica, guidata da Marcinkus, che riuscì comunque a resistere e rimanere a capo dello Ior. Forse questa guerra interna al Vaticano, con annessi giochi di ricatti e vendette, potrebbe aver coinvolto anche i casi di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori e altre uccisioni misteriose come quella di Katy Skerl, la bellissima ragazza che sognava la rivoluzione, negli anni del cosiddetto riflusso, strangolata senza un motivo in una vigna di Grottaferrata il 21 gennaio 1984.

Dietro le indiscrezioni su Marcinkus come “amante delle ragazzine” e come protagonista di festini potrebbe esserci lo zampino di chi intendeva screditarlo. Dopo tutto erano diversi a operare intorno al Vaticano come “attenzionatori”per screditare e ricattare tonache e porporati scomodi. L’accusa più infamante era quella di festini con giovanissimi/e che potevano trascendere in violenze. In questo crogiolo di ricatti e omicidi, degni di un romanzo di Dan Brown, si inserisce la prematura scomparsa, il 28 settembre 1978, di quel Papa Albino Luciani passato alla storia, oltre che per i suoi sorrisi e il suo bonario approccio da prete di campagna, per la sua volontà di fare pulizia dei seguaci della P2 sotto il Cupolone partendo proprio dallo Ior. Il suo pontificato durò solo 33 giorni e sulla sua morte si è ampiamente vociferato che, più che per una improbabile malattia, fosse stato eliminato, forse con del veleno (come nel romanzo “In nome della rosa”), per fermare la sua voglia di far pulizia tra i “cappucci” presenti nello Ior e tra i cardinali, tra i quali ben 121 erano ritenuti massoni in tonaca, molto attivi sul fronte finanziario e ritenuti responsabili del dissesto dell’istituto, quantificato in ben 1000 miliardi di lire.  Si è ipotizzato che quella notte il papa del sorriso avesse proprio quell’elenco sul proprio tavolo. I sospetti di un possibile avvelenamento non si sono potuti accertare perché non fu autorizzata l’autopsia.  

Alla fine di questo scontro, senza esclusione di colpi, i massoni in Santa Sede restarono comunque al loro posto grazie anche probabilmente ad operazioni poco ortodosse di ricatto e delegittimazione su avversari in tonaca che certo non rimasero con le mani in mano. 

Il giornalista e scrittore Fabrizio Peronaci, nel suo nuovo libro che uscirà in occasione del quarantennale dell’attentato a Papa Giovanni Paolo II, proprio su questo scontro ha evidenziato un dettaglio poco noto: “quel Papa stava per riconoscere proprio al conservatore Opus Dei, amico dei dittatori latino americani, il titolo di Prelatura Personale, ovvero un’assoluta autonomia dentro la Chiesa”.  

Insomma alla miriade di scenari e piste che motiverebbero la scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, sarebbe da tener presente, oltre al ritorno della guerra fredda tra est e ovest (erano i primi anni 80, i tempi in cui Ronald Reagan definiva Mosca “impero del male”), anche quella feroce lotta tra IOR e Opus Dei, che si trascinò per anni in silenzio sotto il Cupolone.

Erano gli anni d’oro della P2 e da poco vi era stata la strage di Ustica. Un periodo storico pazzesco e inquietante, in cui omicidi, rapimenti e insabbiamenti superavano ogni fantasia. Infatti pare che nel gioco di ricatti e azioni senza scrupoli tra le parti oltre a Emanuela e Mirella Gregori (rapita 45 giorni prima o meglio indotta ad allontanarsi spontaneamente) si avviò un macabro gioco di ripicche e vendette che causarono la morte di altre ragazze tra le quali quello della diciassettenne Katy Skerlfiglia di un regista svizzero.  Anche da morta c’è chi afferma che, nel torbido gioco tra le fazioni, la sua bara sia stata trafugata dal Verano. Lo ha ribadito più volte il fotografo Marco Fassoni Accetti,autoaccusatosi di aver partecipato ai sequestri delle due ragazze come attenzionatore e fotografo, ma fino ad ora nessuno ha voluto controllare quella tomba dove si dice sia rimasta una maniglia a forma di angelo. Un delitto accompagnato da una macabra filastrocca spedita dal misterioso assassino. Unico ma significativo aggancio: la frequentazione della ragazza con la coetanea Snejena Vassilev, figlia di un funzionario bulgaro finito tra gli accusati nel processo come complice di Ali Agca e di cui la ragazza frequentava l’abitazione. Una palazzina ex sede degli agenti dei servizi bulgari.

Per Accetti non si controlla quella tomba perché non si vuole dare atto della congruità delle sue affermazioni.  Certo, l’uomo che ha fatto ritrovare il flauto di Emanuela (incredibilmente poi distrutto) ha fornito, come unico testimone, molti dettagli e particolari su diversi aspetti della complessa vicenda, senza però mai dire nulla su elementi che possono portare ai mandanti e al destino delle due quindicenni, i cui parenti restano senza una tomba su cui poter pregare in una sofferenza e un mistero che perdura da 38 anni.  Ma chie perché ha fatto sparire Emanuela e Mirella? La domanda è ancora senza risposta ma sono molti gli elementi e le mezze verità che fanno sperare in una svolta che sembra sempre più vicina, nonostante i continui depistaggi e la presenza forte dei servizi in cui si evidenzia il ruolo molto attento di quelli francesi.

Questo cold case ricorda il mistero dei veri mandanti del mostro di Firenze. Li sono passati 50 anni e anche in quel caso incredibili depistaggi e scontri tra magistrati non hanno consentito di arrivare ai livelli più elevati tra i responsabili motivatori di tanta efferatezza.

Intanto nell’intrigo Orlandi sono troppi che continuano a tacere e che potrebbero dire molto se si decidessero a parlare prima che sia troppo tardi. Tuttavia, nel segreto del web, si manifestano voci, ipotesi e mezze verità.  Purtroppo non sono poche le voci di canuti, anche in tonaca, che certamente avevano visto o colto qualcosa e che sono scomparsi. Già questo clima di paura la dice lunga, dopo 38 anni, sulla difficoltà nel far emergere una verità che come sempre non ha nulla a che vedere con i misteri (che non esistono) ma solo su responsabili e mandanti che continuano a voler restare nell’ombra. 

Una verità che in ogni caso appare composita, con una serie di diversi tasselli collegati, di cui pochi riescono ad avere una visione complessiva. Intanto i colpevoli continuano a rimanere sconosciuti e resta la sofferenza dei familiari che non hanno nemmeno una lapide su cui pregare.

Intanto il tempo passa e per chi sa è l’ora che di farsi avanti. 

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