I ballottaggi di domenica 25 giugno dovrebbero insegnare, almeno in Piemonte, al centro sinistra e alla sinistra – usciti già scottati dalle consultazioni dello scorso anno – che amministrare una città può anche (non sempre) trascendere da formule politiche o dai venti nazionali che spirano alternativamente in una o nell’altra direzione.
Guidare una comunità è un lavoro gravoso, complesso e ingrato. Ma proprio per queste ragioni è fondamentale la vicinanza reale e non occasionale, né effimera e episodica agli amministrati. Non è una questione di ilare o artificiosa presenza, ma di comune sentire, di vicinanza piena e rotonda a chi guarda al primo cittadino come ad un essere umano che mette al primo posto nelle pieghe della politica la sensibilità.
Fu questo che fece la differenza di grandi sindaci comunisti e socialisti della giunte rosse di metà anni Settanta: i Novelli, i Valenzi, i Cerofolini, gli Aniasi, gli Argan, i Petroselli, nomi forse dimenticati, ma stili di passione di cui si è però perduto lo stampo. Nulla di più distante dalla algida alterità dei pur bravi Fassino, Ballaré, Brignolo, in parte Rossa, che insieme alla sensibilità condivisa hanno finito per prendere le distanze dalle debolezze, dalle insicurezze e dalle paure dei propri concittadini. Ciò che ci rende eguali e non inutilmente diversi