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sabato, 27 Luglio 2024

Amazzonia: banco di prova della conversione ecologica della Chiesa

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Scritto da Vittorino Merinas

A messaggio ricevuto dal Sinodo amazzonico, immediata ed inquietante la risposta dei mercenari al soldo delle multinazionali all’assalto del più importante polmone del pianeta: l’omicidio di 5 membri d’una commissione governativa nella fascia amazzonica della Colombia e 2 “guardiani della foresta” in quella brasiliana; tutti indigeni. Al virtuoso trillo d’un ecologismo coinvolgente natura e uomo, il controcanto delle armi. Il sogno e la realtà. Alla ricerca d’un dialogo per la salvaguardia d’un bene globale com’è l’Amazzonia, fa muro l’avidità d’un’economia cieca e selvaggia. Contro il Sinodo che s’oppone all’assoggettamento della Natura ad interessi privati, si erge la tronfia onnipotenza del Capitale, il dio che non riconosce opposizione.

La svolta ecologica della chiesa operata da Papa Francesco con l’autorevolezza dell’enciclica Laudato sì, si è concretizzata nel caso Amazzonia. Una regione aggredita e torturata nei suoi beni e nella sua gente da multinazionali operanti in totale illegalità, ammiccate o inadeguatamente contrastate dagli Stati che territorialmente vi convergono. Di qui il Sinodo tenutosi in Vaticano, lo scorso ottobre, per riflettere su un’ecologia integrale coinvolgente natura, popolazioni, culture e religioni e avviare una conversione “ecologica, pastorale, culturale e sinodale” della chiesa stessa. Aspetto, quest’ultimo, che, se realizzato, farebbe dell’Amazzonia la patria d’un cattolicesimo all’altezza dei tempi. Una conversione è già, comunque, avvenuta: il passaggio dall’arcaica visione biblica dell’uomo re e padrone del creato alla più realistica condizione di suo responsabile fruitore. Una posizione di cui oggi sono più consapevoli coloro che hanno solo voce, fatta urlo ultimamente dai giovani, anziché quanti avrebbero il potere di renderla realtà: i manovratori d’un sistema produttivo senza bussola valoriale, tutto finalizzato all’arricchimento personale, che, se non contrastato, potrebbe desertificare la Terra e cancellare ogni traccia d’uomo. L’ominide definitosi sapiens sembra aver utilizzato il lungo percorso della sua esistenza per trasformarsi in insipiens.

Considerando la notoria lentezza della chiesa nel pareggiarsi alla storia, non si può non avvertire il tempismo del suo inserirsi nella questione ecologica, passando dall’iniziale attenzione all’azione, sotto lo stimolo di Francesco più attento al dipanarsi della vicenda umana che a riversarvi dogmi e adescar proseliti. La scelta, poi, dell’Amazzonia come prima esperienza d’un’ecologia complessiva, ha indotto la chiesa ad un ripensamento della sua prassi evangelizzatrice, in dottrina decantata come inculturazione, in realtà attuata come conquista culturale, di cui è doloroso documento la stessa America latina. “Quante volte il dono di Dio non è stato offerto, ma imposto, quante volte c’è stata colonizzazione anziché evangelizzazione. Dio ci preservi dall’avidità dei nuovi colonialismi”, ha detto Francesco. E nel saluto a chiusura dell’ultima assemblea, ha ancora sottolineato che “urge, urge l’annuncio del Vangelo, ma che sia inteso, che sia assimilato, che sia compreso da queste culture”. Dunque, urge il Vangelo, non la Summa Teologica di Tommaso d’Aquino. La “gioiosa notizia” diffusa da Gesù non demolisce le culture, ma le arricchisce innestandosi su di esse.

Gravissime le problematiche ecologiche dell’Amazzonia, ma tutt’altro che serena la situazione della chiesa per l’inadeguatezza quantitativa e qualitativa del clero ivi operante. Quantitativa per la generalizzata crisi vocazionale e la difficoltà di reperire missionari per quell’impervia regione. Qualitativa per la difficoltà di elaborare un’azione evangelizzatrice adeguata alle molteplici culture locali. Duplice il problema, ma complessiva la soluzione prospettata: un sacerdozio eccezionalmente non celibatario per l’eccezionalità della regione, preferibilmente nativo e formato sul posto. Di fatto, un passo oltre il diaconato coniugato ormai in vigore ovunque. Pur se ostico a non pochi vescovi l’abbandono del celibato, la maggioranza dei padri sinodali ha detto sì. Non solo, ma, per dare una solida base al progetto d’un clero amazzonico, hanno suggerito la creazione d’uno specifico rito liturgico per l’amministrazione dei sacramenti, innervato dai valori ancestrali delle culture locali. Infine, a suggellare quest’ambito del dibattito sinodale, l’invito alle Congregazioni della curia romana di competenza, a considerare la possibilità di aggiornare la tabella dei peccati aggiungendovi il “peccato ecologico”. Mentalità vecchiotta per un peccato nuovo, difficilmente dissuasivo dell’odierno piratesco arrembaggio ai beni dell’umanità.

Più controverso il problema dell’indicazione di nuovi compiti e ministeri per la donna nella realtà amazzonica, ma non solo, essendo una richiesta ormai generalizzata. Al di là delle nenie sulla corresponsabilità del laicato nella vita della chiesa e sulla cooptazione anche a livelli decisionali delle donne, e al di là, ancora, dell’urgenza di dare una chiara risposta sul diaconato femminile, di concreto sul tema “donna” il Sinodo nulla ha partorito, tanto da lasciar deluso anche Francesco: “Il documento dice poco sulla donna!”. Sarà pur vero, com’egli dice, che la donna è come la Madonna, madre come la chiesa, superiore agli stessi vescovi, ma, detto sottovoce, è anche un fastidioso fardello. Stia rannicchiata al focolare domestico ad accudir bambini e a crescerli docili figli della chiesa.

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