di Diego Novelli
A chi volesse tra gli analisti politici affaccendati in queste ore dare una lettura corretta, sul voto di domenica scorsa a Torino, ritengo sia utile la conoscenza di una ricerca realizzata dal professor Giuseppa Costa, epidemiologo dell’Università di Torino (coordinatore della Commissione Solidarietà Nazionale e Internazionale, Equità dell’accesso alle cure).
Prima però di entrare nello specifico di questo aspetto scientifico (che mi riservo di trattare ampiamente sul prossimo numero del mese di luglio di Nuovasocietà edizione cartacea) in questa breve nota mi soffermerò sulle questioni più “politiche” che hanno inciso sulla scelta degli elettori.
La sorpresa di molti commentatori è stato il voto nelle periferie di Torino, un tempo roccaforte della sinistra, dove gli abitanti anziani e giovani hanno riversato il loro consenso sulla candidata a Cinque Stelle: Chiara Appendino.
Emblematico il caso “Vallette”. Durante la festa improvvisata prima ancora che lo spoglio fosse terminato, le dichiarazioni raccolte tra i residenti del popolare quartiere non lasciano margini al dubbio. Alle Vallette nei primi anni Settanta era nato tra i primi comitati di quartiere spontaneo che vedeva promotori i compagni della sezione del Pci, i frequentatori del circolo Arci, con gli amici della parrocchia molti dei quali militanti della Dc.
Alle amministrative del 1975 e del 1980 votarono in massa per il Pci che aveva un ruolo egemone, operando sulla realtà (asili, scuole materne, servizi sociali, tempo libero). Per aggregare con lo sport i giovani e le stesse famiglie.
Il distacco tra politica e società a partire dai primi anni Novanta è stata deflagrante: la dirigenza del nuovo partito nato dopo la svolta della Bolognina a Torino si è vantato addirittura di aver operato una “nuova via” determinante niente meno che per la svolta nazionale.
Così in città le 56 sezioni del Pci si ridussero a 10 circoli del Pds, non sempre aperti nei giorni feriali. Questo modo di concepire la politica che nulla ha avuto da spartire con la cultura gramsciana, ha favorito il formarsi di piccole fazioni correntizie, molto impegnate a farci la guerra vicendevolmente.
Il voto di domenica è stato in gran parte un voto contro e non un voto per. Da una parte elettori di sinistra che hanno inteso ingenuamente punire la politica nazionale e locale del partito di Renzi, dall’altra elettori di destra chiaramente reazionari nostalgici della camicia nera come Casa Pound o leghisti di Salvini e Borghezio che si sono esaltati per la vittoria dell’Appendino e la sconfitta del centrosinistra.
Il tutto con il disegno economico e sociale ha prodotto una miscela esplosiva con l’illusione del cambiamento.
Tra l’altro lo studio epidemiologico di cui abbiamo accennato in apertura che illustreremo come detto su Nuovasocietà di luglio ci dice che tra gli abitanti della zona collinare di Torino (da piazza Hermada a quelli delle Vallette: 45 minuti di tram) c’è una differenza nell’aspettativa di vita di quasi quattro anni: 82,1 – 77,8. Il che conferma, quanto qualcuno vorrebbe negare, che le diseguaglianza sociali sono causa determinante di malattia.