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Tsipras sul filo del rasoio

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

di Susanna Grego
La Grecia disobbedisce alle direttive della Troika: il governo greco ha approvato le leggi per contenere la crisi umanitaria. Gli accordi presi il 20 febbraio sono stati violati e alle 300mila famiglie greche più povere saranno dati buoni pasto, elettricità gratuita, accesso al sistema sanitario e aiuti per gli alloggi, insomma tutto ciò che può garantire la sopravvivenza, e un minimo di ordine, in una società allo stremo.
La Troika e il commissario Moscovici avevano invece ordinato anche in caso di misure umanitarie di: «non prendere misure unilaterali ma consultarsi con Ue, Bce ed Fmi, perché dobbiamo vedere il loro impatto sul bilancio».
Si prevedono giornate infuocate per il premier greco Alexis Tsipras. Dopo il vertice europeo di oggi, ha chiesto una riunione speciale per parlare a quattr’occhi con il presidente dell’Unione Europea Donald Tusk, il presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, il presidentre della Commissione Jean Claude Juncker, il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, la cancelliera Angela Merkel e il premier francese Francois Hollande. L’obiettivo è quello di portare il discorso sul debito dal piano tecnico e contabile a quello politico e cambiare così le rigide imposizioni dell’Eurogruppo.
D’altra parte come la pensi il premier greco è fin troppo chiaro: «Non prenderemo ordini dai tecnici, le minacce dei partner non ci spaventano» aveva affermato ieri al Parlamento greco, dando dell’ipocrita alla Troika perché fingerebbe di interessarsi alle riforme ma in realtà avrebbe chiesto alla Grecia soltanto licenziamenti.
Il clima si fa sempre più teso, proprio perché, a detta delle istituzioni europee, manca la cooperazione da parte dello Stato ellenico e non c’è trasparenza sui dati di bilancio, motivo per cui non possono calcolare i costi delle misure umanitarie, come invece vorrebbe l’Eurogruppo.
La Grecia al momento non riceverà gli aiuti promessi e non c’è un’alternativa di accordo sul tavolo. La proposta lanciata da Varoufakis a Cernobbio non pare dunque che sia stata presa in considerazione.
La situazione diventa così preoccupante che Barak Obama ha telefonato alla cancelliera Angela Merkel perché si giunga ad un “accordo pragmatico”.
Questo perché, se le politiche europee rimarranno testardamente ancorate al debito pubblico, la Grecia potrebbe anche decidere di uscire, o farsi espellere, dall’Unione Europea e passare sotto l’influenza della Russia. Non a caso Tsipras ha in programma un incontro proprio con Putin nei prossimi giorni. Cosa che darebbe un enorme fastidio agli Stati Uniti, proprio in un momento in cui con la Russia, di fatto, si combatte una guerra in Ucraina.
I toni di Angela Merkel si fanno drammatici: «Sulla Grecia non è in vista alcun accordo definitivo stasera al vertice Ue o lunedì nel meeting bilaterale con il premier ellenico Alexis Tsirpas a Berlino – ha detto parlando oggi al Palrmaento tedesco – il mondo giudicherà l’Europa da come saprà gestire la situazione con la Grecia. Se l’euro fallisce, fallisce l’Europa».
È ormai palese come l’Unione Europea si trovi ad un bivio: o fare un balzo in avanti rivedendo le basi su cui l’Ue intende evolversi nel futuro, magari con una maggiore cessione di sovranità politica da parte dei singoli Stati e politiche economiche comuni, o, dopo l’abbandono della Grecia, un effetto domino che rischia seriamente di distruggerla.
Forse un timido accenno in questo senso era stato fatto ieri dal governatore della Bce Mario Draghi, che riferendosi alle accese proteste del movimento Blockupy, Podemos e Syriza in occasione dell’inaugurazione della nuova sede della banca europea, aveva affermato: L’Unione economica europea va accompagnata con una unione politica rafforzando i canali per una vera legittimazione democratica, in particolare per il Parlamento europeo. Capisco cosa motiva queste opinioni (anti-euro, n.d.r), perché la gente chiede un cambiamento. La ri-nazionalizzare le nostre economie però non è la risposta. Il difficile periodo di correzione per alcuni Paesi non è una scelta imposta ma una conseguenza di decisioni passate. La risposta alle difficoltà europee non è disfare l’integrazione, ma al contrario fare progressi nelle aree incomplete, vale a dire nella convergenza economica e istituzionale. Non c’è Paese al mondo che riesca a prosperare isolato dalla globalizzazione».

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