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sabato, 27 Luglio 2024

Tsipras, Kalimero e le strane alleanze della crisi

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Oggi, ai quattro angoli d’Europa, tutti si dicono un po’ Tsipras. Nel merchandising della politica del ventunesimo secolo, si è fatto presto a sostituire la copertina dello Charlie Hebdo con il faccione del leader di Syriza. #ΕίμαιΤσίπρας sarebbe l’hashtag, ma la lingua greca è oggettivamente troppo ostica per diventare globale, quindi la giungla dei media deve accontentarsi del greco trono nei trend: #Tsipras, #Grecia2015 e anche di #Syriza, non hanno da ieri sera rivali, solo #FiorentinaRoma ha disturbato, per quel che concerne l’Italia, il primato. L’ola europea che si è alzata per venerare ed applaudire Tsipras è, da ieri pomeriggio, dai primi exit poll del voto, quasi una versione di Giochi senza frontiere, con gli spalti del pubblico del Vecchio continente occupati solamente da una tifoseria. Una brigata ultrà a senso unico, per quanto al suo interno convivano ragioni ed opportunismi non facilmente conciliabili. La destra della Marine Le Pen e di Matteo Salvini, con il suo plauso a Tsipras, vuole screditare l’impianto democratico europeo, la sinistra di Nichi Vendola e dei kalimeri italiani sogna di poter “fare come in Grecia” ed il magma della partitocrazia al governo negli Stati d’Europa immagina invece, in una machiavellica ma buffa atmosfera, di profittare della scossa greca per far traballare i rapporti di forza dell’Europa a moneta unica, fino ad oggi monopolizzati dalla Germania della cancelliera Angela Merkel. Certo è che, come avvenuto con #JeSuisCharlie, quando un nutrito e corposo pezzo, di società, istituzioni o cos’altro, trova una facile e scomposta unità, qualche interrogativo (insieme a qualche sincero dubbio) deve esser posto.
Le elezioni della crisi
Le elezioni che si sono tenute domenica in Grecia, che hanno assistito al trionfo di Tsipras e del suo Syriza, qualche possibilità di divenire una delle pietre militari della crisi nel panorama europeo ce l’hanno. Il ritorno alle urne per il Paese ellenico ha assunto la valenza di colpo di coda per il governo dell’austerità e, al contempo, di nastro di partenza per una politica sperimentazione nella crisi. È in fondo avvenuto quanto previsto: Syriza ha trionfato ma non ha conquistato la maggioranza assoluta, i partiti fino ieri al governo sono stati bocciati, Alba Dorata ha confermato le sue preoccupanti percentuali. Syriza avrebbe voluto quei 151 seggi su 300, per acchiappare la maggioranza assoluta in Parlamento e quindi governare da solo il Paese, ma alla fine degli scrutini Tsipras è riuscito a portarsi a casa “solo” 149 deputati, derivanti dal 36,34% dei voti raccolti alle urne. Il risultato è indubbiamente positivo per il partito della coalizione delle sinistre, che ha doppiato, grazie al premio di governabilità (50 deputati), i numeri del 2012, quando prese il 26,89% e conquistò 71 seggi. Dietro Syriza, distante però nove punti percentuali (27,81%), si è appollaiato Nea Dimokratia del premier uscente e conservatore Antonis Samaras. Segue l’estrema destra di Alba Dorata, con il 6,28%. Poi i centristi di To Potima (6,05%), i comunisti del Kke (5,47%), i Greci Indipendenti, formazione scissionista di Nea Dimokratia (4,75%) ed infine i socialisti del Pasok di Evangelos Venizelos, partito politico che nel regime dell’alternanza è stato spesso al governo (4,68%). L’affluenza alle urne è stata del 63,87%, leggermente più alta della tornata precedente, quando votò il 62,47% della popolazione avente diritto. Troika e memorandum, dracma e debito, sovranità nazionale ed euro: sono state necessariamente queste le tematiche della battaglia elettorale vinta dalla ricetta proposta da Syriza, recitata con carisma e mediaticità da Tsipras.
La strana alleanza di governo
Al di là delle festanti celebrazioni e delle miracolose aspettative, Syriza, a partire da oggi, sarà messa alla prova di governo. Il compito non sarà facile, Tsipras dovrà relazionarsi anche con gli altri attori della politica e dell’economia, europea e mondiale, non solamente con le piazze che ripetono il suo nome. La crisi non è finita, né per la Grecia né per l’Europa. Sicuramente, checché qualche d’uno in giro dica, non è arrivato il socialismo nel Vecchio continente. Per Tsipras salire al governo ha un prezzo, politico. Stamattina, dopo il conferimento dell’incarico di governo ricevuto dal presidente (uscente) della Repubblica, Karolos Papoulias, Tsipras ha incontrato il leader dei Greci Indipendenti, partito fondamentalmente di destra, in quanto figlio di una scissione avvenuta dentro Nea Dimokratia, formazione di governo dal quale si è diviso, polemizzando con le politiche di austerity e d’immigrazione. Un’ora di colloquio è bastato per trovare un accordo per la formazione di un comune esecutivo, allontanando l’ipotesi di lasciare il passo a Nea Dimokratia o ad Alba Dorata. Mercoledì potrebbe già avvenire il giuramento, tempi quindi strettissimi: vi è l’urgenza di nominare un nuovo presidente della Repubblica e di rimettere sul tavolo una strategia di uscita dalla crisi, per evitare quel bailout che da sei anni minaccia il Paese. Sembra non ci fosse alternativa possibile ai Greci Indipendenti, laddove gli ortodossi del Kke provano un profondo e viscerale odio verso i concorrenti a sinistra di Syriza e i socialisti del declassato Pasok portano al collo la dottrina dell’austerity consegnata dalla Troika. Un teatro politico molto italiano. La strana alleanza convenuta verrà quindi pagata a caro prezzo da Tsipras? Ogni disaccordo sarà seguito dalla minaccia di cascata del governo? Innanzitutto sul tema della libera circolazione e dell’immigrazione si volgerà ad una stretta? Quello di Syriza e dei Greci Indipendenti sarà il primo governo guidato da un partito diverso da Pasok o Nea Dimokratia in quarant’anni, da quando è nata la Terza Repubblica, dopo la fine del regime dei Colonnelli.
Il contagio del “borghese radicale”
Le interpretazioni e le congetture, le speranze e le illusioni, hanno riempito le prime pagine dei quotidiani cartacei ed on line di tutto il mondo. Soprattutto in Europa, ancor più che in passato, l’attenzione sulla Grecia resta altissima, perché sulle sponde del paese “cicala” per antonomasia, addosso al quale sono state (furbescamente) imputate molte delle colpe della crisi, si scontrano altre due correnti di pensiero della “Nuova Europa”: la Grecia sarà la salvatrice dell’Europa, imponendo un cambio di registro nelle politiche di tagli e austerità, o si rivelerà la pietra tombale di un’unione politica, economica e culturale mai realizzata? A colui che vien definito il “borghese radicale”, Alexis Tsipras, il compito e il rischio della sfida di governo, scacciando le nubi del Grexit (l’uscita della Grecia dall’euro, voluta o indotta) e del pericolo di aggravato contagio della crisi (Italia in primis, poi la Spagna). Un test europeo, non solo ellenico. Ma, guardando anche alle nostre italiche latitudini, a bocce ferme, a canzoncine cantate ed a bandieroni sventolati, è realistico pensare che l’unica forma di contaminazione che Syriza porterà nel Belpaese sarà quello del rancore e della gelosia di alcuni. Anche perché quella che si definisce sinistra in Italia è impelagata a trovar la quadra per eleggere Romano Prodi come presidente della Repubblica, a praticare la “coalizione delle sinistre con doppie tessere di partito” ed, infine, a minacciare scissioni che difficilmente verranno ratificate. “Kalimera”, il gruppone italiano che è andato nei giorni delle elezioni in gita da Tsipras ha deciso di chiamarsi così: niente di più (a sinistra) azzeccato e indicativo, nonostante il genere femminile adoperato per trovar senso nella lingua greca (“buongiorno”).

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