Cosa resta dei 18 giorni di resistenza democratica che ha caratterizzato la Festa dell’Unità 2018 di Torino, nell’area di corso Grosseto 183, a Borgo Vittoria?
Una festa realizzata in una situazione di enorme difficoltà non solo ambientale a causa dei lavori per la demolizione del cavalcavia di corso Grosseto, ma anche di approccio emotivo in una zona della città ancora diffidente, arrabbiata verso un Pd a cui, nelle passate elezioni, è stata concessa la vittoria in un solo seggio.
E allora, smontati gli stand, portate via sedie e impianti audio, a parte un’area completamente bonificata e restituita alla città grazie al lavoro di tanti volontari, c’è da chiedersi cosa rimane.
Rimane la forte volontà politica di proiettarsi all’esterno e di coinvolgere non solo gli iscritti e neanche solo i propri votanti, la soddisfazione di aver provato a tendere l’orecchio e a parlare anche a quelle persone che non hanno tradizionalmente il Pd come referente politico. Rimane il tentativo di “una prova di democrazia diffusa” in cui la buona organizzazione, la chiarezza delle proposte, l’efficienza dei servizi e la qualità complessiva dell’offerta politica, culturale e di intrattenimento ha provato a tradursi nella dimostrazione palpabile che il Pd c’è, e che sa e può ancora ritrovarsi e riconoscersi in una comunità.
Rimane lo sforzo di aver introdotto forme di incontro e di partecipazione maggiormente in sintonia col modo, più laico e meno ideologico, con il quale oggi la gente si avvicina alla politica, una festa per la città e non solo di partito, a cui hanno partecipato le persone, le associazioni, l’università, i sindacati, il mondo delle imprese e gli intellettuali.
Il messaggio che fino a ieri, quella gente diventata semplicemente la gente di qualcun altro, ha cercato di far arrivare ai vertici del partito, allontanandosi, voltando le spalle ad una politica ridotta a giochi meschini, a mercato dei posti, è sembrato in questi giorni, trasformarsi in aspirazione a che si respiri un’aria pulita, nuova.
Era questa, alla fine, l’unica cosa che avesse davvero senso e importanza perché tanto, poi, la pazienza è la principale virtù di quella meravigliosa “gente di sinistra” che non aspetta altro che un segnale, una scintilla per riscoprire il senso di appartenenza.
Un bel risveglio, dunque, all’indomani di questa traversata lunga più di tre settimane durante la quale il Pd metropolitano a guida Mimmo Carretta, ha dimostrato di non soccombere, nonostante al suo interno non siano in pochi a darsi ancora da fare per azzopparlo, delegittimarlo e appioppargli il colpo di grazia, avanzando proposte dettate da personalismi, critiche suggerite da appartenenze a correnti diverse e inviti a disertare dibattiti e incontri.
Rimane una carica positiva, la voglia di non rassegnarsi a subire una destra arrogante e vincente. La passione, l’affetto, l’entusiasmo sincero delle persone e dei volontari che mettendoci braccia e anima, hanno sacrificano l’estate e il tempo con le famiglie per tramandare i loro valori e sentirsi parte di un progetto più grande, ambizioso ma non per questo impossibile.
Resta una supplica della gente ai piani alti del partito: non è una questione di comunicazione o di cattivo brand, ma di cedibilità e contenuti. E non è nemmeno una questione di età, ma di capacità di muovere un entusiasmo genuino attorno a temi spesso trascurati, è una questione di proposte, di prospettiva.
C’è da augurarsi che l’establishment del Pd piemontese, poco presente alla festa se non per le serate dedicate ai Big nazionali, non commetta l’errore di prendere questo tentativo di riconciliazione con la gente, obiettivamente riuscito vista la partecipazione popolare, e lo butti via continuando a fare quello che si è sempre fatto. C’è da augurarsi che non resti sordo agli appelli arrivati in queste giorni dalle persone comuni sedute tra il pubblico, che non resti povero di qualsiasi tipo di immaginazione, alieno all’idea che il futuro si costruisce partendo dalle basi, dai fondamentali.
Resta il senso di un impegno collettivo, fortemente sentito e generosamente vissuto da un “pezzo” di sinistra che ha bisogno di muoversi fuori, cercando alternative e che non ha più nessuna voglia di stare a guardare.