di Moreno D’Angelo
Un gruppo di funzionari della Soprintendenza per i Beni Architettonici di Torino ha preso carta e penna per esprimere, con una lettera aperta, solidarietà con il dirigente dell’ufficio, Luca Rinaldi, finito nel centro della polemica per le sue critiche allo stazionamento del vagone ferroviario in Piazza Castello in memoria dei deportati ai campi di sterminio in occasione della mostra, ancora in corso, su Primo Levi, lo scrittore deportato autore de “La Tregua” e di “Se questo è un uomo”.
Nella lettera si esprime vicinanza al dirigente che è stato oggetto «di linciaggio mediatico reo solo di aver espresso il parere di competenza su ambito vincolato, il più prestigioso peraltro di Torino». Si dice di non comprendere nemmeno lo scandalo e si definisce il “vagone evocativo”: «una trovata pubblicitaria in quanto non un autentico vagone piombato delle deportazioni, ma un generico falso che non ha nulla a che fare con la rigorosa mostra su Levi».
La lettera dei funzionari della Soprintendenza di Torino si conclude con questa affermazione: «Riteniamo che ben altre più gravi motivazioni potrebbero giustificare azioni punitive nei confronti di un dirigente del Ministero».
Il vagone, originale o meno, poco importa, non si tratta di un quadro, ha avuto un grande successo per la sua vera funzione: quella di testimoniare e porre interrogativi a tante persone, specie i più giovani, che continuano ad osservarlo, sul dramma dei deportati durante la Seconda guerra mondiale.