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Scienza e democrazia

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

di Battista Gardoncini

La scienza non è democratica. Parola di Roberto Burioni, l’eminente virologo diventato una star del web grazie alla sua battaglia in difesa dei vaccini, che si è stufato delle centinaia di sciocchezze postate sulla sua pagina Facebook da chi invece li considera causa di tutti i mali. Per questo Burioni ha chiuso la possibilità di commentare i post, e ha spiegato di non avere alcuna voglia di discutere di scienza con gente che non sa di che cosa parla:  “i dati scientifici non sono sottoposti a validazione elettorale: se anche il 99% del mondo votasse dicendo che due più due fa cinque, ancora continuerebbe a fare quattro. Poi ognuno è libero di dimostrare che non è vero; ma fino a quando non l’ha dimostrato, due più due fa quattro anche se molti non sono d’accordo. La scienza non va a maggioranza”.

Sull’utilità dei vaccini siamo completamente d’accordo con lui, ma l’assunto iniziale si presta a qualche riflessione più approfondita, perché il rapporto tra scienza e democrazia non si può liquidare con una semplice battuta.

Non tutti diventano scienziati, ma tutti, almeno in teoria, possono tentare di diventarlo.  Qualche dote non guasta e serve determinazione nell’affrontare un  processo di formazione lungo e complesso, insieme a un po’ di fortuna nell’incontrare le persone giuste, come dimostra il caso dei tre Nobel  Rita Levi Moltalcini, Renato Dulbecco e Salvador Luria, che erano tutti allievi dello stesso professore dell’università di Torino, Giuseppe Levi.   Ma questo non significa che la scienza non sia democratica. Anzi è una delle manifestazioni del pensiero che meglio rappresenta la democrazia ideale, che non è quella dove tutti sono eguali, ma quella dove tutti hanno gli stessi diritti, gli stessi doveri e le stesse opportunità.

Sono i  risultati ottenuti, e non altro, a stabilire chi è uno scienziato e chi non lo è. Risultati quantificabili, sottoposti al giudizio della comunità scientifica sulla base di criteri validi in tutto il mondo e pensati per essere oggettivamente verificabili.  In tutte le attività umane possono esserci errori e ingiustizie, ma in linea generale nella scienza prevale il merito, come dovrebbe accadere sempre in una democrazia perfettamente funzionante.  I risultati della scienza sono tangibili, i vantaggi che ne derivano evidenti. E di questo dovrebbero essere consapevoli perfino i crociati anti-vaccini. In fondo, che ne sarebbe delle loro follie se qualcuno non li avesse messi in condizioni di diffonderle inventando i computer e il web?

Certo, una democrazia compiuta si esprime nel momento del voto, e ha ragione Burioni quando dice che non è il voto popolare a determinare la validità di una ricerca. Ma è anche  vero che la democrazia non si esaurisce, o meglio non dovrebbe esaurirsi, nel semplice atto del votare. Altrettanto importanti sono la condivisione dei principi, la coesione sociale, le pari opportunità di partenza, il superamento dei condizionamenti e dei pregiudizi, l’abolizione degli steccati.

Oggi la scienza è più avanti del resto della società nel perseguimento di questi obiettivi, e sente forte la tentazione di arroccarsi nella torre d’avorio della sua superiorità, insieme al fastidio di non vedersela riconosciuta. Il problema, però, andrebbe considerato da un altro punto di vista. Come far sì che questi obiettivi diventino prioritari per l’intero corpo sociale. Come costruire una vera democrazia, che abbia in sé gli anticorpi per combattere, insieme agli avversari dei vaccini, anche chi oggi fa scelte pericolosamente simili ai milioni di tedeschi che nel 1933 scelsero democraticamente di mandare al potere Adolf Hitler.

Questa, però,  è un’altra storia.

oltreilponte

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