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sabato, 27 Luglio 2024

San Giovanni, l’omelia di Nosiglia

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Qui di seguito l’omelia che l’Arcivescovo di Torino ha pronunciato durante la Messa di San Giovanni oggi alle 11 in Duomo

Nel brano di Vangelo che abbiamo ascoltato (Matteo 21.23-27), l’autorità di Gesù viene messa in dubbio da chi aveva potere religioso sul popolo e temeva di perderlo di fronte ad un profeta e maestro di verità, che smascherava le loro falsità e ipocrisie.

L’Autorità di Giovanni Battista
La gente semplice, che ascoltava Gesù, al contrario diceva: “Egli parla con autorità, non come gli scribi, perché dice e fa; essi invece dicono, ma non fanno, non mettono in pratica quello che pure insegnano”. Gesù non risponde alla domanda, che gli rivolgono i sacerdoti ed anziani del popolo, e fa, a sua volta, una domanda che li imbarazza. Riguarda Giovanni Battista, il profeta austero e fustigatore dei costumi dei potenti e dei ricchi. Egli predicava un battesimo di penitenza che sacerdoti ed autorità religiose del suo tempo non avevano accolto e quindi rifiutato, giudicandolo poco autorevole. Lo rimproveravano dicendo “Sei tu il Messia per arrogarti il diritto di predicare e battezzare?”.

L’autorità di Giovanni Battista non gli veniva dagli uomini, ma da Dio stesso, che lo aveva mandato nel mondo per essere testimone della verità e servo dei poveri. Ma come esercitava tale autorità? Non certo con il potere economico, politico o culturale, ma con il servizio della predicazione e dell’amore offerto agli ultimi e ai disprezzati del mondo. E’ dunque la via dell’umiltà, dell’obbedienza a Dio e del servizio quella che il profeta persegue, sempre per mostrare la sua autorità come espressione di una missione ricevuta all’alto. Gesù loderà Giovanni Battista e ne assumerà fino in fondo l’esempio rifuggendo ogni potere umano, religioso o sociale. Al nostro Patrono va dunque la riconoscenza e l’umiltà di accettare di essere come lui servi e non padroni di quello che amministriamo dei doni che ci ha dato e ne facciamo motivo di servizio agli altri. Siamo degli amministratori di beni che vengono da lui e a lui dovremo restituirli, senza tenere niente per noi stessi, se non la serenità del cuore di aver compiuto il nostro dovere fino in fondo. “Quando hai fatto ciò che dovevi fare, ci dice il Signore, dì pure: sono un servo inutile che ha compiuto solo il suo dovere”.

L’etica fondamento del vivere civile e sociale
Quando parliamo della necessità di ridare un’ etica alla finanza e all’economia e a tanti altri aspetti del lavoro e del vivere civile, non intendiamo solo un fatto privato e di coscienza, ma anche un modo sociale di impostare i meccanismi stessi del potere e dell’autorità in tutti i campi del governo, una nuova mentalità e regole di comportamento, che affondano le loro radici in Dio e nel primato della legge morale che lui ci indica nella coscienza e che ci propone con la via dell’amore, della giustizia, della solidarietà e del dono di sé. Senza questa sponda sicura andiamo alla deriva e prima o poi paghiamo un prezzo altissimo all’idolatria del dio, che assume i nomi di denaro, potere, orgoglio, sopravalutazione di se stessi, fuga dalla proprie responsabilità verso il bene comune. Tutto ciò è possibile se l’uomo umilmente riconosce che, se siamo quello che siamo, ciò è opera non solo delle nostre abilità, capacità e impegno, ma è dono di Dio, che ha aperto vie impensabili di bene per noi e ci ha sostenuto, dandoci talenti preziosi che abbiamo fatto fruttificare con il suo aiuto. Oggi nel contesto storico che stiamo vivendo c’è bisogno di un supplemento di responsabilità collettiva per ricuperare nei comportamenti pubblici e privati il primato della coscienza formata e della onestà intellettuale e morale a cui restare fedeli costi quello che costi, testimoniando così la coerenza di chi non si piega ai facili compromessi del potere di turno, ma sa restare libero e schietto nel parlare e nel proporre la verità. Il lavoro, la famiglia, la vita sociale, la sofferenza, persino la morte, sono esperienze tutte nostre, che diventano anche sue e solo con lui possiamo viverle con serenità, vigore e forza. Ma questo esige umiltà e disponibilità a lasciarsi salvare e non avere la pretesa di salvarci da soli.

La pretesa e illusione di avere in mano la nostra salvezza
Credo che nel nostro quotidiano impegno di lavoro e di vita tocchiamo con mano che quando pensiamo di avere tutto sotto controllo e di poter gestire ogni cosa a partire dalla nostra intelligenza, competenza, capacità operativa, progetti, avviene sempre qualcosa di imponderabile come è avvenuto in questi mesi, che ci spiazza e ci fa capire quanto siamo deboli e illusi di essere potenti e di avere tutto, passato, presente e futuro in mano e nelle nostre possibilità. L’orgoglio di bastare a se stessi e di fare a meno di Dio o comunque di confinarlo nel sacro, nel privato religioso, in una pratica rituale avulsa dai veri problemi della vita e del quotidiano serpeggia come tentazione continua nell’animo anche del credente. La Chiesa e i cristiani possono pregare e riferirsi a Dio per la loro esistenza privata, ma quando vogliono trasferire la loro fede nel tessuto concreto della storia compiono un’operazione di ingerenza indebita nel mondo del lavoro, della famiglia, della finanza ed economia, in quello della sanità, in quello della politica.

Il vero spread che va perseguito
Vi dico questo, cari amici, perché credo che in questo momento di forte trapasso, che investe alla base il modello stesso di sviluppo del nostro Paese e del nostro territorio,sia da accogliere la sfida che ci viene dai segni dei tempi per ridare fiato e vigore alla dottrina sociale cristiana con scelte coraggiose e forti, anche alternative e di forte testimonianza.Prima fra tutte quella di un’etica della comunione, che faccia superare chiusure corporativistiche per mettere in primo piano il bene comune, il fare squadra come si usa dire.Crediamo fermamente in questo traguardo, ma sappiamo che senza motivazioni forti e radici anche spirituali profonde è impossibile accoglierlo e attuarlo. Qui si radica la salvezza che riceviamo da Dio in Cristo, che ci permette di andare anche controcorrente e di vincere la tremenda realtà del peccato sociale, che penetra dentro le strutture e le realtà oltre che nelle coscienze e condiziona ogni nostra scelta e comportamento.Insomma comunichiamo e facciamo apprezzare il bene ovunque esso si faccia e da chiunque, il rispetto e l’onestà e cordialità delle relazioni. Insegniamo ai giovani in particolare che questo bene è l’investimento più prezioso, il vero spread che indica l’elevata civiltà di un popolo, il suo sicuro progresso che offre speranza certa a tutti. Coltivare giustizia e pace significa anche farsi voce di chi non ha voce in questa società e sono tanti oggi che vivono condizioni non solo di mancanza di lavoro o di sofferenza aggravate dà senso di solitudine e di abbandono, in cui sembra che a nessuno interessi la loro sorte e si prenda a cuore i loro problemi. Facciamo emergere dunque queste situazioni per richiamare a tutti ad esercitare quella prossimità che rende la vita più vera e fraterna.

“Molto oltre la paura”
Cari amici termino con un richiamo alla Lettera alla Città che ho scritto in occasione di questa festa patronale intitolata“Molto oltre la paura”. Per vincere quella paura che restringeil cuore di tanti, suscita rassegnazione e sfiducia se non rabbiaverso tutti e tutto vedendo lo spreco di parole e assicurazioniche come il vento si abbattono su chi più è in difficoltà nelmondo del lavoro come nella povertà e scivola verso la miseria,occorre che tutti insieme sappiamo reagire perché ne va dellanostra vita e di quella dei nostri ragazzi e giovani.Torino non temere, ho detto la sera della Consolata e loripeto anche oggi perché la nostra città ha delle potenzialitàumane, spirituali, culturali, politiche ed economiche diprim’ordine e fortemente radicati nel tessuto della vita deisuoi abitanti, ma deve credere di più in se stessa, riscoprire erivitalizzare la sua anima che tiene unite tutte queste risorsee rappresenta il tesoro nascosto per il quale vale la penasacrificare ogni altra cosa: è la radice religiosa e laica insiemeche l’ha resa attiva e intraprendente, senza tanti sconti pernessuno, la politica in primo luogo, gli uomini di cultura e dicomunicazione, il mondo produttivo, del lavoro e della finanzae la stessa Chiesa protesi tutti insieme a un di più di impegnocollettivo che permetta di affrontare l’attuala situazione conuno scatto in avanti di orgoglio e di impegno solidale di ognisuo cittadino.Sì, ce la faremo ne sono certo e anche se tutto non torneràcome prima sarà un bene perché vorrà dire che abbiamoimparato la lezione dei tempi che stiamo vivendo e siamodiventati più forti, meno egoisti e autoreferenziali, più umaninei rapporti reciproci, più poveri ma più solidali e ricchi divalori che avevamo perduto. San Giovanni Battista ci aiuti a credere in tutto ciò e a fare della speranza che lui ha predicato e vissuto il volano di una società nuova che non nasce sulle rovine del passato, ma sulla certezza di un futuro che è nelle nostre mani.

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