di Giorgio Merlo
La parola “rottamazione” nel nostro Paese risponde ad un nome e ad un cognome: Matteo Renzi. Attraverso quella parola il leader fiorentino è riuscito a spazzare una parte, seppur molto limitata, della classe dirigente del suo partito dai posti di comando e gli ha permesso di conquistare un potere che da oggi gestisce in modo personale e quasi totalizzante. La rottamazione è stata una carta vincente per scalare il partito, scalzare il gruppo dirigente che governava in precedenza e dar vita ad una gestione che premia la fedeltà al capo e alla sua linea politica.
Ora, al di là della rottamazione e della sua inevitabile propaganda, resta inevasa la domanda di fondo a cui prima o poi occorrerà dare una risposta. Che non sia solo dettata dalla tifoseria e dalla solita e scontata esaltazione del capo da parte della “corte” di turno. E cioè, la rottamazione è stata solo un escamotage strumentale utile per conquistare il potere; una strategia che viene applicata a macchia di leopardo a seconda della convenienza e della vicinanza con la propria corrente dei vari esponenti da rottamare o è una linea che si declina e si pratica in modo lineare ed oggettivo a prescindere dagli “amici”? La domanda viene spontanea perché si ha la sensazione che questa tanto conclamata rottamazione venga sempre più praticata a macchia di leopardo. Cioè salvaguardando gli “amici” dove si può e colpire gli avversari di partito se non rientrano nella propria orbita politica. Ad esempio, D’Alema, Veltroni, Bassolino e tanti altri andavano rottamati. Mentre, che ne so, Fioroni, De Luca, Finocchiaro, Zanda, De Luca e tanti altri vanno salvati e promossi. Insomma, una sorta di doppiopesismo difficilmente spiegabile e anche difficilmente comprensibile.
Ma, al di là dei nomi e dei cognomi che rispondono sempre e solo ad esigenze tattiche e di potere, quello che conta rilevare è che quando uno slogan che ha segnato, comunque sia, un’epoca nella recente storia politica italiana, diventa manipolabile a seconda delle circostanze e delle convenienze, si corre il serio di buttare alle ortiche ciò che di buono quella vulgata può avere avuto nella concreta dialettica politica di quel partito – nello specifico del Pd – e della intera politica nostrana. Perché, alla fin fine, il tema della rottamazione chiama in ballo anche il capitolo molto più importante della selezione e della formazione della classe dirigente politica nel nostro Paese. Classe dirigente che, come tutti sappiamo, non può sempre e solo essere improvvisata e legata a fattori del tutto estemporanei e casuali. Ma se anche il tema della classe dirigente, preceduto da paroloni e impegni solenni come, appunto, la rottamazione e la sostituzione del personale politico, si limita ad una pura operazione di potere e di ricambio con i propri “amici” il tutto si riduce ad una ennesima, e conosciutissima, operazione di potere. Speriamo che il tutto non si riduca solo e sempre a questo.
(Disegno di Sergio Staino, pubblicato sul numero di giugno 2016 del mensile cartaceo di Nuovasocietà)