20.4 C
Torino
sabato, 27 Luglio 2024

Ristorazione, Banchieri (Confesercenti): “Falsa ripartenza”

Più letti

Nuova Società - sponsor
Rosanna Caraci
Rosanna Caraci
Giornalista. Si affaccia alla professione nel ’90 nell’emittenza locale e ci resta per quasi vent’anni, segue la cronaca e la politica che presto diventa la sua passione. Prima collaboratrice del deputato Raffaele Costa, poi dell’on. Umberto D’Ottavio. Scrive romanzi, uno dei quali “La Fame di Bianca Neve”.

Mai come quest’anno, maggio deve far rima con coraggio. Riaprire la serranda, guardare in negozio, capire come ricominciare. Che sia un bar, un ristorante, una trattoria, che abbia coperti all’esterno in dehor o solo all’interno è un po’ come togliere la polvere da un presente che non somiglierà al passato, nemmeno lo si volesse. Alle porte del primo vero fine settimana in zona gialla, con il meteo che non promette niente di buono e con una ripartenza che in realtà, ad ascoltare ristoratori, baristi, pizzaioli, è solo a metà. Da una parte la realtà del centro della grande piazza Vittorio, dove i dehor spaziosi si riappropriano pian piano dei nostalgici dell’aperitivo, distanziato e sicuro. Dall’altra le periferie, o vie centrali che fanno i conti con il metro alla mano, per spesso avere la certezza che il dehor proprio in quest’area non ci sta. E allora per provare a ripartire bisogna aspettare il prossimo step, e le spese corrono.

In piazza Sabotino, ad esempio, dove il cinema Eliseo ha riacceso l’insegna messa a nuovo in pieno lockdown, con un restauro della facciata. Il caffè all’angolo ha messo due tavolini che provano come la buona intenzione sia pronta a sfidare la logica algebrica. Altrimenti caffè al banco e fuori in fretta. Poco più in là, proprio dall’altra parte della piazza Sabotino un caffè più grande ha messo in piedi un dehor coperto. Bisogna lavorare, si investe. Lo dice anche la signora Sabrina, della storica pizzeria di via Cesana: è aperta da almeno quarant’anni, prima i nonni, poi  i genitori, ora lei e il figlio: “Dobbiamo tener duro, non si può chiudere. Investiamo per resistere” dice al cliente che al telefono ordina due margherite da asporto.

Giancarlo Banchieri, presidente di Confesercenti chiarisce: “Questa per noi non è una vera riapertura, ma un prolungamento delle misure anticovid; potendo lavorare solo all’aperto molte aziende non hanno spazi e continuano quindi a restare chiuse; altre hanno spazi molto ridotti e sono in balia del meteo. Parlare di riapertura è fuorviante, pochissime sono quelle che hanno dehor soddisfacenti”. Le piazze auliche non devono trarre in inganno, non è da quelle che la città ricava il termometro della salute di chi prova a ricominciare. “Dobbiamo ragionare tenendo presente la realtà di 5000 locali pubblici in città – precisa Banchieri – più o meno un 40 per cento non ha il dehor per assenza di spazio, altri se ce l’hanno è molto piccolo. Non dobbiamo guardare al centro, perché molti non hanno riaperto. La maggior parte che lo ha fatto, sfrutta spazi ridottissimi”.

Se alla poca capacità di spazio, si aggiunge il coprifuoco alle 22 che non dà di fatto la possibilità di gestire la clientela su ipotetici due turni, ecco che a volte aprire non varrebbe forse nemmeno la pena. L’aspetto positivo, secondo Banchieri, è però “la collaborazione dalle amministrazioni comunali per allargare gli spazi all’aperto, per darli gratuitamente; ovvio che chi ha il locale che si affaccia direttamente sulla strada non può averli”. 

“Dal 26 ottobre da quando è iniziata la seconda ondata, l’emergenza si è scatenata con particolare veemenza sulla nostra categoria – aggiunge – e siamo stati fermi per legge, in molti casi lo siamo ancora. Col decreto sostegni il governo Draghi non ha riconosciuto lo sforzo che si sta facendo, perché si stanno aiutando tutti allo stesso modo. Il calo generico non può essere paragonato al calo causato da una chiusura imposta per legge: avremmo bisogno di indennizzi, che non ci sono. Ci hanno detto tu non puoi lavorare”. 

Ci sono dei costi, costi molto onerosi, come ancora aggiunge Banchieri più o meno un ristorante paga mille euro al mese per tassa rifiuti “ma come si fa a chiedere quella cifra per i rifiuti se siamo stati chiusi, abbiamo comunque continuato a pagare gli affitti: non c’è stato su di loro un credito di imposta”. 

Una categoria in subbuglio, e in grande difficoltà. A voler immaginare una ristorazione diversa dal passato, più improntata al delivery, alla consegna a domicilio magari anche con menù confezionati su misura, si corre il rischio di essere dei visionari. La realtà – conclude Banchieri – è che la ristorazione è socialità, e a quello dobbiamo tornare. A cena si fa il massimo del profitto, a pranzo poca cosa, con il delivery si guadagna il 10 per cento di quello che si  incasserebbe in presenza”. 

In più il delivery è adatto solo a una certa tipologia di prodotto, per la pizza, l’hamburgher forse per il sushi ma una cena tipica piemontese si presta molto di meno, non è adatto a tutti: la ristorazione è fatta da mille cose diverse. L’asporto è un piccolo palliativo. Se non ci sarà un vero piano di riaperture, un settore un milione trecentomila posti di lavoro, trecentomila aziende rischia di tracollare: a Torino 5000 aziende, per ciascuno una media di quattro o cinque addetti in media.

Sta per avvicinarsi il primo weekend interamente giallo. Ma il meteo per chi vorrebbe provare a cenare fuori, negli orari permessi, magari anticipando un po’ sulle vecchie abitudini pur di tornare a inforchettare un piatto di spaghetti all’aperto, non promette niente di buono, in questo maggio nel quale ci va ancora molto coraggio.

- Advertisement -Nuova Società - sponsor

Articoli correlati

Nuova Società - sponsor

Primo Piano