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sabato, 27 Luglio 2024

Quattro anni di Appendino e una vita in periferia

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Quattro anni fa quando il Movimento Cinque Stelle vinse le comunali a Torino, io c’ero.
Entrammo in comune al grido di “onestà”, accompagnati e sospinti da una forza propulsiva che arrivava da molto lontano: arrivava dai luoghi della marginalità sociale e dalle periferie, rispetto ai palazzi e ai centri di potere che questa città sa esprimere.

Quella forza che possiamo ricordare oggi come un grande vento avvolgente, una nuova linfa vitale il cui nome più appropriato sarebbe stato “speranza”.
Mentre per la prima volta salivo lo Scalone monumentale di Palazzo di Città tra mille telefonate ne arrivò una, di un grande vallettano che mai dimenticherò, la commozione per entrambi fu incontrollabile. Ricordo le sue parole “stai attenta”, sì “perché avrai il compito di rappresentare coloro che stanno ai margini della città, che sono stati da sempre dimenticati, inascoltati, sfruttati a fini elettorali, sviliti e talvolta criminalizzati, un compito arduo da far tremare le vene dei polsi”.

Ad oggi sappiamo tutti come finì, ma diciamoci le cose come stanno.
In periferia, prima e dopo il 2016, la politica ha sempre avuto un gioco facile, vuoi a causa della disinformazione degli abitanti, vuoi perché gli ultimi della società sono così impegnati ad affrontare le loro difficoltà quotidiane per la sopravvivenza, che non hanno quindi né il tempo, né la forza, ma soprattutto l’opportunità e gli strumenti economici e culturali per diventare reali portatori di interessi e quindi attrattivi per la politica, oppure per autorganizzarsi per difendere la propria identità.

Non mi sembra che ancora oggi qualcuno capisca, che quando si parla di periferia la parola d’ordine che dovrebbe guidare la politica è dare e non ricevere.
L’atteggiamento generale della politica nei confronti delle periferie è sempre stata un gioco al ribasso attraverso l’elemosina in cambio di un voto, in mezzo a tanta disperazione.
Ho visto cose in periferia da parte di componenti di grandi partiti affermati, come la promessa di un telefono nuovo peraltro poi mai arrivato in cambio di un voto. La promessa di una casa popolare per un voto, un aperitivo organizzato con l’impegno di portare delle persone in cambio di denaro per presentarsi come candidati al territorio. Promesse promesse, tutte retribuite ma esclusivamente materiali, atte a giocare sulla disperazione delle persone, piuttosto che farsene carico, impegno ahimè molto più gravoso.

Ma mai nessuno che comprenda che l’unica vera promessa, che si dovrebbe fare in periferia è quella di garantire la propria presenza, il proprio impegno, sacrificando se stessi, perché occuparsi dei territori di periferia vuol dire impegnarsi, al di fuori degli impegni istituzionali, è un doppio incarico tutti i giorni per 5 anni.
Non a caso ci si ricorda delle periferie e di tornare a presidiarle sempre e solo in prossimità di una campagna elettorale, il fine intuibile, e sempre uguale a se stesso, accaparrarsi i voti promettendo cose che non verranno mantenute.


In periferia bisogna esserci tutti i giorni, reperibili giorno e notte, bisogna farsi carico dell’accompagnamento, del supporto e nell’affiancamento dei cittadini nei vari percorsi di accessibilità agli aiuti, nelle loro vicissitudini, individuando attraverso le esperienze i vuoti legislativi e normativi per trasformarli in proposte politiche.
Riqualificare le periferie vuol dire creare servizi, non per se stessi o per rapporti clientelari, cavalcando le difficoltà, ma per costruire opportunità per tutti per tutto il territorio, partendo dalle difficoltà e studiando le cause, occuparsi quindi di edilizia sociale pubblica, di supportare i piccoli commercianti di prossimità, le realtà del territorio e cercando di attrarre investimenti e accorciare le distanze, costruendo ponti che producano nuove occasioni per migliorare la condizione sociale, culturale ed economica dei cittadini.
Riqualificare le periferie non è fare un intervento urbanistico o sistemare qualche marciapiede, per poi a fine mandato aver nuovamente la faccia di presentarsi a richiedere i voti, oppure non farsi vedere, perchè convinti di fare stragi di voti attraverso i rumors dell’eco mediatico di alcuni leader.
In sostanza, ad oggi, rispetto alla narrativa pubblica che si sta muovendo attorno alle periferie, non vedo nuovi atteggiamenti nuove consapevolezze, riscoperte, ritrovate o perse o ancor peggio mai avute da parte di coloro che si contenderanno sicuramente tra meno di un anno le elezioni a Torino.

Se vogliamo parlare di periferie tra l’altro in questo delicatissimo momento storico, lasciamo da parte le campagne elettorali, cerchiamo di costruire reali argini attraverso il dirottamento di risorse straordinarie e concrete a supporto e difesa degli abitanti e delle sue realtà, per farci trovare pronti, perchè l’attuale ondata di disagio sociale di cui si prevede apice, a seguito dell’emergenza coronavirus, per questo autunno è già iniziata.
Le periferie hanno molti valori, ricchezza umana, solidarietà. E anche qualità culturali e professionali.

Ma nelle periferie ci sono anche gli ultimi, la maggior parte delle persone in sofferenza di questa città vive nelle periferie. Non ci vive certo il ceto benestante e dominante della città. E quando per sbaglio, come con lo stadio della Juventus, i calciatori finiscono in quartiere periferico ben si guardano dal frequentarlo.
Avete mai visto CR7 per le strade delle Vallette, anche solo a prendere un caffè o bere una birra? Comunque coraggio, tra poco siamo in campagna elettorale e vedrete tutti i politici della città venire a prendere il caffè nei vostri bar.
Se volete parlare di periferie, incominciate a rispettarle, iniziamo da qui, chi è pronto a fare politica a favore dei cittadini, degli ultimi, delle periferie e non solo in campagna elettorale? Chi e’ pronto a sottoscrivere un patto con i cittadini delle periferie in cui si impegna ad una presenza costante e continuativa sui territori?

Deborah Montalbano
Consigliera Comunale e cittadina del quartiere Vallette Periferia

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