La ventinovesima edizione del Torino Gay and Lesbian Film Festival, il Tglff, è stata presentata questa mattina al Museo Nazionale del Cinema con una conferenza stampa.
La kermesse, della durata di una settimana, si aprirà il prossimo 30 aprile al Cinema Massimo di via Verdi: quaranta le nazioni coinvolte nell’edizione del 2014, per un totale di 137 film in programma. Diversi i temi cui è dedicata la rassegna di quest’anno, da quello delle “nuove famiglie” alla questione dell’omofobia, dalle leggi anti-gay approvate in Russia dal presidente Vladimir Putin fino a una panoramica della trattazione dell’omosessualità all’interno della Rai, dalla sua nascita fino a oggi.
Novità di questa edizione è poi un appuntamento dedicato ai bambini, con la proiezione di un film di animazione nella giornata di domenica 4 maggio.
Ad aprire la serata di inaugurazione, assieme al direttore Giovanni Minerba, ci sarà l’attrice Ambra Angiolini, oltre ad un ospite musicale a sorpresa di cui non è ancora stato rivelato il nome.
A pochi giorni dall’apertura del Festival non mancano però anche le polemiche: a partire dal 2011, infatti, la Regione Piemonte ha revocato il proprio patrocinio all’iniziativa. Non è un caso che tale decisione coincida con l’arrivo della Lega Nord a guida della giunta: il presidente Roberto Cota, per mano della presidenza della giunta regionale, sottoscrisse fin dal suo insediamento un “Patto per la vita e per la famiglia”, un testo palesemente ostile a qualsiasi forma di relazione diversa dalla famiglia rigorosamente cattolica e “tradizionale”.
A margine della conferenza stampa di questa mattina il presidente della Commissione Cultura del Comune di Torino, Luca Cassiani, del Pd, ha commentato: «Ritengo vergognoso che il festival del Cinema gay non abbia il patrocinio della Regione», auspicando poi che «il prossimo anno, accanto a quelli della nostra amministrazione e della Provincia, ci possa essere anche il logo della Regione”.
Ma le critiche arrivano anche da associazioni e realtà che lavorano sul tema dell’omosessualità e combattono le discriminazioni legate all’orientamento sessuale: l’edizione di quest’anno, infatti, non si è rinnovata solo graficamente ma anche nel nome, passando dall’acronimo GLBT (che sta per lesbiche, gay, bisessuali e transgender) a un più breve GL che riprende quindi solo una parte del nome originario. Non è ovviamente una questione solo linguistica: se da alcuni anni alla sigla GLBT viene spesso aggiunta una Q finale per indicare il termine “Queer”, la scelta di andare in controtendenza riducendo l’acronimo pone infatti un problema di inclusività rispetto alle identità di genere che il festival vorrebbe portare sui propri schermi.
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