Ormai non c’è dibattito politico nei partiti che non individui nella selezione innovativa della classe dirigente lo strumento principale per qualificare la politica e cambiare in profondità gli stessi partiti. Un processo che è iniziato in modo forte e marcato tre anni fa con la “rottamazione” lanciata da Matteo Renzi per la conquista del Pd e poi proseguita, seppur con altre modalità e altri percorsi, da altri partiti e movimenti politici.
Ora, non vi è dubbio che il ricambio e il rinnovamento della classe dirigente sono, da sempre, tra le priorità dei partiti. Come di ogni altro organismo associativo. Ma è altrettanto indubbio che questa vulgata è diventata di pubblico dominio solo da alcuni anni. Certo, anche nel Partito Democratico – dove la “rottamazione” è diventata il dogma per scalzare una classe dirigente sostituendola con una più giovane anagraficamente – non sono mancate le eccezioni. Tanto a livello nazionale quanto a livello locale, con deroghe significative per esponenti non più giovanissimi e che già vantavano una presenza più che trentennale ai vertici dei partiti e delle stesse istituzioni ai vari livelli. Ma è pur sempre l’eccezione – in questo caso le eccezioni – che conferma la regola.
Un dato, però, è certo. Se la sola età anagrafica non può essere mai confusa con il rinnovamento e la capacità e la qualità politica, è pur vero che il ricambio intervenuto in questi ultimi anni ha contribuito al rinnovamento complessivo della politica italiana. Anche se, quando questo ricambio diventa un dogma imperativo e insindacabile, si può incappare in qualche abbaglio. E gli esempi non mancano, tanto a livello nazionale quanto a livello locale. Ma è indubbio che, anche alla luce della concreta e positiva esperienza intervenuta con la “rottamazione” da un lato e l’affermarsi di una nuova classe dirigente dall’altro, emerge in modo forte la necessità di saper fare tesoro della esperienza – e della saggezza – del passato coniugandola con la spinta rinnovatrice e fresca delle forze del cambiamento.
Attorno a questo binomio si gioca la stessa credibilità della classe dirigente politica nel nostro paese. Non è un caso se oggi Sergio Mattarella, nuovo Presidente della Repubblica, sia il politico più gettonato e più amato dagli italiani. E, prima di lui, lo è stato per molto tempo Giorgio Napolitano. Che non mi pare siano giovanissimi. Come lo è, seppur in misura minore, il premier Renzi.
Ecco, proprio in questo legame consiste il segreto nel saper legare il passato con il presente per guardare con credibilità e fiducia al futuro. Se il tutto si limita a cancellare tutto ciò che è seppur lontanamente riconducibile al passato, inesorabilmente prima o poi si produrrà un cortocircuito con il rischio di perdere una grande occasione: e cioè quella di favorire un vero ricambio della classe dirigente senza mandare al macero un giacimento di competenza, di saggezza e di buon senso che può sempre essere utile. Non solo per la politica e per i partiti ma per la stessa qualità della democrazia italiana.