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sabato, 27 Luglio 2024

Caso Orlandi: Chi è Ulrike, la misteriosa spia venuta dal freddo?

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Moreno D'Angelo
Moreno D'Angelo
Laurea in Economia Internazionale e lunga esperienza avviata nel giornalismo economico. Giornalista dal 1991. Ha collaborato con L’Unità, Mondo Economico, Il Biellese, La Nuova Metropoli, La Nuova di Settimo e diversi periodici. Nel 2014 ha diretto La Nuova Notizia di Chivasso. Dal 2007 nella redazione di Nuova Società e dal 2017 collaboratore del mensile Start Hub Torino.

di Moreno D’Angelo
Chi è Ulrike? Tedesca, bionda, molto bella, fredda e determinata come nelle spy stories degli anni ’70. C’è una misteriosa donna che compare in diversi momenti chiave legati al rapimento di Emanuela Orlandi, di Mirella Gregori e anche nel caso Josè Garramon. Il ragazzino dodicenne, figlio di un diplomatico uruguayano, rimasto ucciso dall’auto guidata dal supertestimone Marco Fassoni Accetti nel buio della pineta di Castel Porziano, il 20 dicembre 1983. Ragazzino misteriosamente “apparso” in quel luogo insolito, dopo essere stato dal barbiere un’ora prima vicino casa, nel quartiere dell’Eur, a venti chilometri di distanza.
La misteriosa Ulrike è con Accetti sul furgone nella pineta, ma anche la custode delle ragazze rapite 6 e 7 mesi prima. Sarebbe stata lei a guidare il camper nei vari spostamenti di Emanuela, da Monteverde al litorale.  E’ presente poco prima del rapimento (22 giugno 1983) in una foto tra piazza Navona e corso Rinascimento, che Accetti racconta di aver scattato fingendosi turista, per immortalare il capo della banda della Magliana Renato De Pedis a fianco alla “ragazza con la fascetta” e documentare così il suo coinvolgimento nel sequestro. E ancora, sempre la fascinosa Ulrike riappare in via Nomentana, il 7 maggio di quell’anno, al momento della citofonata a Mirella Gregori, che scende e viene ripresa stavolta con una videocamera dal supertestimone appostato con la complice bionda in una macchina. Tutto si basa sulle dichiarazioni e sul memoriale dell’indagato autoaccusatosi del duplice sequestro delle ragazze (come ben documentato nel libro “Il ganglio” di Fabrizio Peronaci).
Ma come ha fatto l’enigmatica donna, che oggi avrebbe tra i 50 e i 60 anni, a rimanere finora nell’ombra? Perché non si è mai fatta avanti e nessuno, in più di tre decenni, l’ha tradita? Oggi, nel momento in cui le indagini stanno per essere chiuse e si attende un processo, i magistrati sperano di dare finalmente un volto alla presunta 007. Un’identità vera, oltre a quella di copertura. Il nome di battaglia Ulrike immediatamente porta alla mente quello della giornalista e terrorista rossa della banda Baader Meinhoff, che tenne  in scacco la Germania negli anni ’70. La donna viene indicata come una possibile fiancheggiatrice della Stasi, il famigerato servizio segreto della Germania Est. Un’ipotesi possibile e da verificare, visto il ruolo della fazione in cui il supertestimone militava (il cosiddetto “Ganglio”), favorevole alla Ostpolitik, impegnata a ostacolare il percorso anticomunista intrapreso da Papa Wojtyla insieme allo Ior di Marcinkus,  in una vera e propria guerra all’ombra del Vaticano, combattuta senza esclusioni di colpi. Questo accadeva nel periodo del caso Calvi e dello scandalo P2, ed è storia. Oggi, anche in virtù dello sforzo rinnovatore di Papa Bergoglio, i tempi paiono maturi per alzare ogni velo e imprimere al triplice giallo una svolta definitiva.
Intanto a infittire lo scenario investigativo di ulteriori sospetti e veleni è emersa la notizia che 15 pagine degli atti legati al caso Garramon siano spariti. Si tratta del primo interrogatorio, a caldo, di Marco Accetti, e di quello di una sua amica, poche ore dopo l’incidente: la coppia sulle prime fu scambiata per terroristi. Forse tali verbali contengono elementi delicati su possibili obiettivi delle Br. O altro, chissà. Il supertestimone d’altronde ha raccontato molte cose, tra le quali che obiettivo del suo gruppo era svolgere pressioni sul giudice Santiapichi, che di lì a poco avrebbe presieduto la giuria al processo contro Agca. E proprio l’attentatore del Papa era nel mirino del “Ganglio”, che puntava a bloccare le esternazioni del turco contro la Bulgaria e la Russia, falsamente accusate di essere state i mandanti dell’attentato a Wojtyla.
Accetti inoltre ha fatto ritrovare il flauto, che la famiglia non esclude sia proprio quello di Emanuela, e collocato nelle sue azioni un’altra giovane e bella “spia” venuta dal freddo, una cecoslovacca di nome Iva (ne ha fornito anche il cognome) che lui avrebbe portato con sé in Egitto per una “missione” in ambienti della nunziatura. Resta però un dato di fatto: sono molte le questioni che il reo confesso dovrebbe ancora chiarire, soprattutto portando prove a supporto. A partire dal ruolo, descritto come centrale, della bella Ulrike. La fondamentale testimonianza di Accetti e il suo memoriale  hanno aperto  scenari inquietanti,  per molti versi ipotizzabili, anche se permangono troppe “zone d’ombra” in un contesto già caratterizzato da chiusure del Vaticano e da reiterati episodi di insabbiamento.  Molte affermazioni  del supertestimone hanno incontrato  dubbi e perplessità da parte  di Pietro Orlandi, fratello della ragazza rapita, impegnato con migliaia di persone nei comitati a favore di verità e giustizia, con continue iniziative che hanno permesso che questa drammatica vicenda non finisse nel dimenticatoio.
E’ anche vero, però, che due dichiarazioni importanti si incrociano e, oggi, suscitano grande attesa. Un paio d’anni fa il procuratore aggiunto di Roma, Giancarlo Capaldo, rivelò a sorpresa durante la presentazione di un suo libro: «Emanuela Orlandi è morta, ma il caso è vicino alla soluzione». Nei giorni scorsi, da parte sua, la mamma di Josè Garramon, Maria Laura Bulanti, ha dichiarato in un’intervista esclusiva al corriere.it: «Mi è stato detto che attraverso il riesame della vicenda di mio figlio sarà possibile risolvere i casi Orlandi e Gregori. Io sono contenta per i familiari di Emanuela e Mirella, però voglio la verità anche su Josè». Un certo ottimismo, dopo oltre tre decenni, appare quindi più che fondato. Ma la domanda che resta aperta ci riporta alla donna del mistero: Chi è Ulrike? Dove si trova?  Potremmo immaginarla con un altro nome, tranquillamente pensionata nei quartieri bene di Montevideo, al volante di una Volkswagen cabrio, andare verso il mare, simbolo delle ribellioni di gioventù che non ha potuto dimenticare.

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