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sabato, 27 Luglio 2024

Pd, tre condizioni per evitare la spaccatura

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È abbastanza evidente che dopo l’8 dicembre nel Pd tutto è possibile. Dal rafforzamento del partito alla sua spaccatura. Mai come in questa fase qualunque ipotesi è sul campo. Certo, molto dipende dall’esito delle primarie e dai voti ottenuti dai vari candidati. E, ovviamente, anche dal numero dei partecipanti alle primarie. Ma è indubbio che la “spaccatura” del Pd rientra tra le ipotesi. Anche se da quasi tutti, comprensibilmente, viene al momento pressoché rifiutata e respinta.
Ci sono, però, tre buoni motivi che potrebbero portare a quell’esito.
Innanzitutto l’unità del partito. Sarà ancora un “valore” coltivato dalla futura dirigenza del partito oppure si limiterà ad essere un vago e vuoto richiamo retorico? Sull’unità del partito, del resto, si gioca la capacità di conservare e garantire la stessa pluralità che caratterizza il Pd sin dalla sua nascita. Certo se il metodo prescelto dalla futura dirigenza fosse la rapida e letterale applicazione della “rottamazione” all’interno del partito, non sarebbe granché difficile immaginare l’esito concreto di questa prassi. Mi rendo conto che oggi la rottamazione è abbastanza tramontata dopo la gigantesca salita “sul carro del vincitore” di personaggi che per parlare di rinnovamento, di ricambio e di cambiamento devono consultare un dizionario. Ma comunque il rischio resta sempre sullo sfondo. E questo sarebbe un modo concreto e tangibile per spezzare il corpo del partito e per creare le condizioni di una radicale scomposizione dello stesso Pd.
E, strettamente legato a questo caposaldo, il capitolo della “pluralità culturale” del Pd. Non è affatto facile governare e gestire un partito plurale. Certo, questa è la sua forza ma è anche la sua intrinseca debolezza. Linguaggi diversi, sensibilità culturali diverse e, di conseguenza, soluzioni diverse ai problemi che si affacciano di volta in volta all’attenzione del partito. Una pluralità culturale che non può però essere aggirata rafforzando la sola leadership. Ha ragione Renzi quando individua in una leadership forte un significativo “valore aggiunto” per l’intero partito. Del resto, la personalizzazione e la spettacolarizzazione della politica – frutti della cultura berlusconiana in questi ultimi 20 anni – fanno ormai parte della cultura politica italiana. Ma sarebbe letale, almeno per il Pd, tradurre questa prassi con la riproposizione dell’uomo solo al comando. Quello che è stata la fortuna per i partiti personali, o proprietari o dominati dal guru di turno rischierebbe di essere fatale per un soggetto politico che coltiva l’ambizione di essere gestito con criteri democratici e pluralisti al suo interno.
In terzo luogo la non riduzione del partito ad un comitato elettorale permanente. È persin ovvio ricordare che un grande partito popolare e di massa non può ridursi ad uno strumento funzionale alla carriera del suo leader. Anche perché, banalmente, appena si indebolisce la leadership del capo si appanna l’appeal dell’intero partito. Non si tratta di riproporre modelli di partito pesante – il fatidico “apparato” – ma, al contrario, rendersi conto che il partito è anche e soprattutto una “comunità” e come tale va vissuto e va gestito. Almeno per chi proviene da una tradizione politica e culturale democratica, partecipativa e liberale. Perché il tutto non si può sempre e solo risolvere con il “dio primarie”. Questo strumento burocratico, peraltro non normato da alcuna legge e quindi sempre funzionale ai bisogni del momento, resta sempre e solo uno strumento che non va confuso con la “mission” del Pd. Che, si spera, dovrebbe basarsi su altri elementi: principalmente, sul progetto politico che sprigiona. E gestire e governare un partito come il Pd richiede, innanzitutto, l’esercizio della democrazia al suo interno. Non predicarla astrattamente, ma praticarla concretamente.
Ecco i 3 elementi decisivi ed essenziali attorno ai quali si gioca l’unità futura, o meno, del Partito democratico. Tre elementi che richiedono un gruppo dirigente conscio e consapevole del ruolo che andrà a ricoprire dopo l’8 dicembre. Tre elementi che, invece, se saranno calpestati provocheranno, del tutto laicamente, una sola conclusione: e cioè la spaccatura irreversibile del Pd. Speriamo di no.

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