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sabato, 27 Luglio 2024

Parco Michelotti, Soave (Pro Natura): “Bisogna stabilire le priorità d'intervento”

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Riccardo Graziano
Riccardo Graziano
Figlio del boom demografico e dell'Italia del miracolo economico, vive con pessimismo non rassegnato l'attuale decadenza del Belpaese. Scopre tardivamente una vocazione latente per il giornalismo e inizia a scrivere su varie testate sia su carta stampata sia su web.

Con la ripresa dei lavori istituzionali dopo l’estate, la Commissione Ambiente della Città di Torino ha compiuto un sopralluogo a Parco Michelotti, per valutare la situazione attuale e gli interventi da porre in atto prossimamente.
Una parte del parco è stata riaperta a luglio, 9.000 metri quadri riallestiti come area giochi per ragazzi con un investimento di 190.000 euro, ma una vasta area è ancora da risistemare e versa in parte in stato di degrado, tanto che qualcuno lamenta la mancata assegnazione a Zoom, la società che voleva farne un bioparco cittadino, soluzione osteggiata da comitati di cittadini e associazioni ambientaliste. Per conoscere la posizione di queste ultime abbiamo raccolto il parere di Emilio Soave, vicepresidente di Pro Natura Torino con delega all’urbanistica, che segue le vicissitudini del parco da parecchi anni.
Possiamo riassumere le vicende relative alla risistemazione di Parco Michelotti?
Fin da quando fu chiuso il vecchio Zoo la situazione è rimasta incerta e altalenante. La riapertura al pubblico nel 1996 prevedeva un’area a parco nell’ambito del progetto Torino Città d’Acque Per 15 anni si è postulata la necessità di arrivare a un progetto unitario per quest’area di oltre 32.000 metri quadri, impegno recepito già nel 2005 con una variazione urbanistica relativa al cosiddetto “Acquario-Rettilario”, l’unico edificio censito e tutelato, dunque da salvaguardare. Impegno tuttavia non rispettato, a partire dalla concessione ventennale rilasciata nel 2006 per il locale detto “Ippopotamo”, mentre ciclicamente si prospettavano interventi invasivi, come la costruzione di nuovi volumi o di una centrale idroelettrica sulla diga Michelotti, con relativo canale di derivazione. In realtà, gli interventi dovrebbero andare nella direzione opposta, con la demolizione di buona parte degli edifici esistenti, abusivi e degradati, che costituiscono elementi di rischio per la fruizione pubblica del parco, che dovrebbe essere l’obbiettivo primario. Bisogna poi recuperare la visione del paesaggio fluviale, aprendo accessi alle sponde, e tutelare le alberate storiche di platani e Ginko Biloba
Tuttavia gli interventi di manutenzione costano, e le casse comunali languono, per cui vi sono state proposte per la “valorizzazione” dell’area….
In linea di principio non siamo contrari al coinvolgimento anche di soggetti privati nella gestione e neppure allo svolgimento anche di attività economiche rivolte alla fruizione, tuttavia non approviamo una filosofia secondo cui i parchi non devono costare o devono addirittura “rendere”. Riteniamo quindi che nei bandi di assegnazione vadano inseriti precisi impegni per garantire l’uso pubblico del parco, evitando periodi di concessione troppo lunghi e clausole eccessivamente permissive basate sul criterio della “miglior offerta economica”. Inoltre deve valere il principio della salvaguardia dell’unitarietà dell’area
L’offerta di Zoom per la realizzazione del Bioparco garantiva un progetto unitario, ma le associazioni ambientaliste si sono opposte fermamente …
Quel progetto era in conflitto con alcune nostre determinazioni di principio: NO alla sostanziale privatizzazione di un bene pubblico (era prevista una concessione trentennale rinnovabile per altri 20 anni), NO a nuove edificazioni (erano previste costruzioni per quasi 3000 mq, un aumento del 55% della superficie edificata) , NO alla presenza di animali come nel vecchio Zoo, attivo dal 1955 al 1987 e che, va sottolineato, rappresenta solo una parentesi nella storia ultrasecolare del parco, anche se durata oltre trent’anni. Dopo le battaglie per la chiusura del vecchio giardino zoologico, era un controsenso deliberare un’altra concessione per un’attività analoga. Inoltre, un intervento di tale portata, che oltre ai 32.000 mq del parco avrebbe interessato altri 20.000 mq esterni attualmente adibiti a verde e che sarebbero stati destinati a parcheggio, andava a nostro giudizio necessariamente sottoposto a procedura di VIA (Valutazione Impatto Ambientale), che tuttavia non era stata prevista in fase di aggiudicazione a seguito di bando. Inoltre il progetto conteneva forti elementi di criticità rispetto alle disposizioni urbanistiche, che destinavano l’area a verde e servizi. Senza contare due anomalie macroscopiche relative al bando stesso, effettuato da un’Amministrazione in scadenza e con un solo partecipante
Però ora che è sfumato il progetto di assegnazione ai privati, risistemazione e mantenimento sono a carico delle casse pubbliche, mentre alcune aree sono tuttora in stato di degrado e abbandono. Che fare?
Abbiamo appreso con soddisfazione della rinuncia dell’operatore privato ad acquisire l’area, che altrimenti sarebbe stata di fatto privatizzata e sottratta alla libera fruizione pubblica. Va sottolineato che comunque si trattava di un progetto sovradimensionato e insostenibile dal punto di vista ambientale, che avrebbe creato grossi problemi di traffico e accessibilità – erano previsti 300.000 visitatori annui – in un’area fluviale tutelata e inserita nel Piano Paesaggistico Regionale. Intanto, mentre le amministrazioni, a partire dal 2014, insistevano su questo progetto privatistico finito in fumo, si è perso tempo prezioso per recuperare il parco all’uso pubblico, invece di lasciarlo all’abbandono. Secondo il nostro parere, il ripristino non è particolarmente oneroso: occorre completare la delimitazione dell’area, adeguare l’illuminazione pubblica e, soprattutto, abbattere gli edifici fatiscenti, tranne l’Acquario-Rettilario che va salvaguardato, e coprire le vasche a cielo aperto, che rappresentano elementi di rischio per la fruizione degli spazi. A questo proposito, l’amministrazione lamenta di doversi fare carico delle spese di demolizione, ma a nostro parere si potrebbero ridurre sensibilmente i costi utilizzando le macerie stesse per colmare le vasche, evitando i costi di trasporto e smaltimento in discarica. Parliamo di cifre non piccolissime, ma perfettamente compatibili col bilancio di una città come la nostra, specialmente nell’ottica di restituire finalmente alla cittadinanza un bene pubblico per troppo tempo lasciato all’incuria e al degrado. Nell’attesa, chiediamo l’assunzione di una Delibera di Indirizzo da parte della Giunta e del Consiglio, che stabilisca le coordinate e le priorità degli interventi da attuarsi, anche in un piano triennale, che sia però impegnativa per l’Amministrazione.

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