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mercoledì, 4 Dicembre 2024

L’inchiesta No Tav che mette in crisi il pm Antonio Rinaudo

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In queste ore sta girando in rete un’inchiesta No Tav che riguarda il pubblico ministero Antonio Rinaudo, titolare dei fascicoli aperti contro il movimento che si oppone all’Alta Velocità. Un lavoro certosino di contro informazione che giornalisticamente è impeccabile e degno di lettura. Nonostante questo però, e nonostante in passato la contro informazione sia stata fondamentale a far luce su capitoli più oscuri della storia italiana (non dimentichiamo che molte firme illustri del giornalismo nostrano provengono proprio da quelle fila) nessun quotidiano ha ripreso la notizia. Anzi. Qualcuno ha bollato tutto quanto come “storie vecchie”. Ancora peggio, ci viene da dire, visto che “vecchio” ha il suono di “dimenticato”.
Abbiamo quindi deciso non di “copiare e incollare” l’inchiesta (avremmo fatto torto a chi ha lavorato duramente su intercettazioni e faldoni, prendendoci paternità non nostre) ma raccontare con la cronaca quanto è emerso.
Perché secondo noi il giornalista e chi opera nell’informazione ha il dovere di far sapere e far in modo che il lettore si faccia una propria idea, e sta a noi fornire gli strumenti per farlo. 
Nella giornata di sabato su uno dei maggiori siti di riferimento del movimento No Tav è stata pubblicata una lunga e dettagliata inchiesta dal titolo “Le strane amicizie del pm Rinaudo”. L’articolo ripercorre appunto la carriera di Antonio Rinaudo, pubblico ministero presso la Procura di Torino, il cui nome in tempi recenti è diventato noto soprattutto per la sua partecipazione al pool di magistrati che coordina le indagini sulle proteste contro l’alta velocità in Valle di Susa.
Sono infatti quasi mille le persone inquisite negli ultimi quattro anni per episodi legati alla battaglia No Tav e molte delle indagini portano la firma di Rinaudo e del collega Andrea Padalino.
La pubblicazione dell’inchiesta arriva peraltro a pochi giorni dalla manifestazione del 10 maggio, in cui il movimento No Tav ha convocato una marcia popolare a Torino contro la criminalizzazione degli attivisti e in particolare contro l’accusa di terrorismo che grava su quattro di loro, incarcerati dallo scorso 9 dicembre. Un’accusa grave e dai risvolti potenzialmente molto pesanti sulla quale nelle ultime settimane hanno preso parola diversi personaggi pubblici e su cui la Cassazione dovrà esprimersi il prossimo 15 maggio per stabilire se l’imputazione sia legittima o meno in riferimento ai fatti contestati ai quattro No Tav.
Ripercorrendo indagini, intercettazioni e frequentazioni che ruotano attorno alla figura di Rinaudo, l’inchiesta pubblicata sul sito del movimento mette in luce il fitto intreccio (da sempre denunciato dagli stessi No Tav) che lega mafie imprenditoriali e sete di profitti alla costruzione dell’alta velocità in Valle di Susa e, più in generale, a tutto il “sistema grandi-opere” che in Italia conta una serie di tanto famosi quanto infelici esempi.
Per arrivare fino alla recente apertura del cantiere geognostico di Chiomonte e al moltiplicarsi di fascicoli di indagini a carico degli attivisti, l’inchiesta parte in realtà da molto più lontano, in particolare dall’ottobre del 2003, quando un altro pm torinese, Antonio Malagnino, riceve un rapporto contenente alcune intercettazioni telefoniche tra Rinaudo e tale Antonio Esposito. Quest’ultimo è un personaggio malavitoso più volte indagato a partire dagli anni ’80 in quanto ritenuto emissario torinese di Rocco Lo Presti, boss della ‘Ndrangheta, la mafia calabrese, trasferitosi in Valle di Susa, più precisamente a Bardonecchia, che nel 1995 sarà il primo comune del Nord Italia a essere sciolto per presunte infiltrazioni mafiose.
Tali intercettazioni, che rivelerebbero in più occasioni frequentazioni assidue e amichevoli tra Rinaudo ed Esposito, non hanno però conseguenza alcuna per la carriera del pm torinese, al quale nello stesso anno viene anzi affidata un’inchiesta riguardante 65 persone indagate per attività riconducibili alla ‘Ndrangheta. Rinaudo procederà però con il rinvio a giudizio degli indagati solo dieci anni più tardi, lasciando intercorrere un tempo decisamente più lungo di quello adottato nella maggior parte dei processi (soprattutto se paragonato ai ritmi che caratterizzano gli attuali procedimenti contro i No Tav, nei quali l’intervallo tra la chiusura delle indagini e il rinvio a giudizio conta solitamente pochi mesi).
A partire da questa relazione poco ortodossa tra il pm torinese e Antonio Esposito, l’inchiesta pubblicata dai No Tav si addentra in una lunga analisi di torbide vicende torinesi e valsusine degli ultimi 30 anni fatte di appalti, favori, speculazioni e colate di cemento e ricerche di appoggi in Procura. Il documento sembra non risparmiare proprio nessuno: nell’articolo compare infatti frequentemente il nome di Luciano Moggi, ex dirigente della Juventus al centro dello scandalo di “Calciopoli” e comune amico di Rinaudo e Esposito.
Un estratto di una delle intercettazioni riportate nell’inchiesta pare emblematico della poca limpidezza del rapporto che intercorre tra i due:
Rinaudo: Sì! Ma difatti, io che sono un pubblico ministero e so come vanno fatte le cose…
Moggi: Apposta (ride)
Rinaudo: Eeh… sono un po’ più intelligente degli altri!
Ma proseguendo con la lettura si incontrano anche ex deputati missini, l’ex ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Pietro Lunardi e il suo vice Ugo Martinat (entrambi in carica dal 2001 al 2006 sotto il governo Berlusconi, proprio negli anni in cui la battaglia contro il Tav Torino-Lione giunge ai primi momenti di scontro aperto), candidati nelle liste del Pd e il sindaco Fassino, responsabili della gestione dei giochi olimpici invernali di Torino 2006 e altri magistrati torinesi. In particolare figura il nome del pm Maurizio Laudi, che nel ‘98 indagò su tre anarchici accusati di ecoterrorismo contro l’Alta Velocità valsusina. Due di loro, Sole e Baleno, moriranno in carcere prima di essere assolti.
Passando per la costruzione dell’autostrada Torino-Bardonecchia (e relativi appalti poco limpidi) negli anni ‘80 e ‘90, molti di questi nomi arrivano fino a oggi e alla vicenda Tav grazie a legami più o meno diretti con le ditte che hanno attualmente in gestione la realizzazione della Torino-Lione.
Un nome in particolare sembra chiudere il cerchio della lunga vicenda: è quello dell’imprenditore Vincenzo Procopio che in Valle di Susa muove i primi passi come membro del comitato direttivo delle Olimpiadi per poi passare alla gestione del cantiere del Tav di Venaus. Per entrambi gli incarichi è stato indagato e condannato in primo grado in un’inchiesta per turbativa d’asta che vedeva coinvolto anche l’ex viceministro Ugo Martinat.
Il documento non è ancora completo e, come annuncia il sito del movimento No Tav, le parti conclusive verranno pubblicate nei prossimi giorni. Tuttavia, un interrogativo rimbalza con insistenza sui social network e sorge spontaneo sulla bocca di chi in questi giorni è arrivato fino in fondo alla lettura dell’inchiesta: alla luce degli intrecci che lo vedrebbero coinvolto, come mai la gestione giudiziaria delle proteste contro l’alta velocità è stata affidata proprio al pm Antonio Rinaudo?
Per gli attivisti No Tav, come dichiarano essi stessi, il contenuto del documento diffuso in questi giorni, non sarebbe che la conferma di quanto vanno denunciando da anni.
Per tutti si tratta comunque di una controinchiesta che non può essere semplicemente ignorata perché quanto si legge rivelerebbe tratti decisamente inquietanti rispetto alla tenacia con cui la maggior parte dei partiti italiani continua a sostenere la realizzazione di un’opera tanto avversata e messa più volte in discussione nella sua utilità.

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