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sabato, 5 Ottobre 2024

L'Egitto bombarda l'Isis in Libia. Nuova alba di una guerra globale

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Potenzialmente la guerra all’Isis, al cosiddetto Stato islamico, è ad un giro di boa. Le carte sul tavolo del conflitto potrebbero star cambiando, innanzitutto per paura, dell’Europa di aver ai suoi confini milizie con la bandiera nera e degli Stati Uniti di perdere tasselli geopolitici nel governo del Medio Oriente.
La scorsa settimana è stata la Giordania a sganciar bombe contro le postazioni Isis in Siria. Oggi è l’Egitto a mobilitare le sue forze armate per reagire all’aggressiva avanzata delle truppe di Abu Bakr al-Baghdadi. La Giordania e l’Egitto sono due attori politici fondamentali nel puzzle mediorientale. Necessariamente la partita della guerra mondiale, che oggi vien definita come la “Terza”, anche se l’epopea della belligeranza non si è mai interrotta dal Novecento, non può esser compresa pienamente se non si considerano tutte le delicate situazioni, i fragili equilibri e le tattiche o strategiche alleanze del sistema mondo.
Il presidente dell’Egitto Abd al-Fattah al-Sisi, dopo la decapitazione dei 21 egiziani copti eseguita dall’Isis e la pubblicazione dell’orrendo video di rivendicazione, l’aveva promesso: «L’Egitto si riserva il diritto di reagire». I copti sotto le Piramidi rappresentano una nutrita minoranza religiosa: al-Sisi sa bene quanto sia importante, oggi, mostrarsi come difensore del suo popolo, quantomai per combattere le schegge islamiste che minacciano il Paese. La Libia è un territorio che confina con l’Egitto, la fragilità della frontiera che li separa è nota: al-Sisi certamente avverte quanto è grande la problematica che incombe, laddove questa è doppia, perché legata alla difesa dei territori egiziani dall’avanzata così come dall’influenza delle brigate targate Isis.
In questo schema, certamente semplificato ed insufficiente, l’Egitto ha, all’alba, bombardato alcune postazioni dell’Isis in Libia, che ha oramai conquistato i centri di Derna e Sirte. È il primo intervento armato delle forze armate egiziane dalla caduta di Hosni Mubarak, quindi dalla salita al potere del presidente al-Sisi. «I bombardamenti vogliono vendicare il bagno di sangue (dei 21 copti uccisi, ndr) e fare sapere a tutti che gli egiziani hanno uno scudo che li protegge» hanno fatto sapere attraverso una nota le forze militari. I raid aerei avrebbero colpito depositi di armi e campi di addestramento, uccidendo 40 presunti miliziani dell’Isis. L’operazione si è svolta con l’ausilio di quel pezzo di Stato della Libia riconosciuto dalla Comunità internazionale, capeggiato dal presidente Khalifa Belqasim Haftar, che si è coordinato con l’aviazione egiziana ed ha partecipato con quattro caccia.
Nel frattempo al-Sisi ha mandato il ministro degli Esteri Sameh Shoukry a New York, per prendere contatto con i membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu, affinché «la comunità internazionale si ponga di fronte alle sue responsabilità e avvii le procedure necessarie per dichiarare ciò che sta accadendo in Libia come una minaccia alla pace e alla sicurezza». La battaglia contro l’autoproclamatosi Califfato islamico potrebbe ora prendere un’altra piega, eventualità finora non prevista e non considerata dai governi dell’Occidente, assumendo, con il sangue che scorre a pochi chilometri dai confini della “Fortezza Europa”, una centralità ed importanza finora scansata, per paura militare, negligenza amministrativa o codardia politica.

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