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sabato, 27 Luglio 2024

Lavoro, intervista a Giovanni Ferrero: “C’è bisogno di una grande mobilitazione della volontà”

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Susanna De Palma
Susanna De Palma
Laureata in Scienze Politiche. Giornalista professionista dal 2009. Fin dagli anni del liceo collabora con alcuni giornali locali torinesi, come la Voce del Popolo e Il Nostro Tempo. Dal 2005, pur mantenendo alcune collaborazioni, passa agli Uffici Stampa:Olimpiadi 2006, Giunta regionale, Ostensione della Sindone. Attualmente giornalista presso l'ufficio stampa del Consiglio regionale Piemonte.

Giovanni Ferrero è il presidente dell’Istituto per la memoria e la Cultura del lavoro dell’Impresa e dei diritti sociali, l’Ismel.

Con lui abbiamo parlato non solo del Primo Maggio che quest’anno, a causa dell’emergenza Coronavirus, verrà celebrato senza scendere in piazza, ma soprattutto di lavoro e di cosa cambierà in futuro.

Come cambierà il lavoro dopo l’emergenza sanitaria?

“L’Ismel, insieme alle tanti componenti economiche e sociali che ne fanno parte, artigiani e commercianti, da sempre  ragiona sulle dinamiche del mondo del lavoro e su come sarà il lavoro del futuro, spesso messo in discussione dal continuo evolversi delle tecnologie. In realtà la globalizzazione non porta con sé solo crisi finanziarie e virus telematici, ma anche continui cambiamenti nelle relazioni tra le persone. È quindi dalle persone che siamo ripartiti per capire cosa sta accadendo e cosa ci si aspetta. Abbiamo chiesto a tanti lavoratori, di diverse categorie, sulla base della loro esperienza, quale fosse il modo di lavorare che avevano prima e come sia cambiato con il coronavirus e con le misure adottate. Abbiamo chiesto loro quale impatto tutto questo abbia avuto sulla loro vita sociale, in famiglia. Bene, ciò che è emerso è che la maggioranza delle persone ha continuato a lavorare e ha convissuto con il rischio, alcuni si sono anche ammalati. Molti si sono detti preoccupati del’evoluzione futura del lavoro, non tanto per l’uso delle tecnologie, che in molti casi ha invece permesso di riorganizzare il lavoro anche da casa, ma rispetto alla possibile precarietà futura dei rapporti diretti con i colleghi. Di fatto siamo in un paese in cui c’è poca attenzione all’organizzazione del lavoro. Il problema non è la mascherina o meno sul posto di lavoro, ma se e come aumentare la  proceduralizzazione nel lavoro: nei lavori tradizionali ci si affida alla fantasia  e all’ingegno di chi lavora ma non basta. Di fronte a cambiamenti epocali non si può pensare di affidarsi esclusivamente all’autoriorganizzazione del singolo”.

Se dovesse evidenziare una falla del sistema organizzativo di questo periodo, quale sarebbe?

“È evidente che il sistema di reti che abbiamo è uno dei peggiori al mondo: pensiamo al sistema scuola, la didattica online non ha funzionato sempre e ovunque in maniera efficace da casa. Bisogna immaginare un sistema di reti  più capillare e socialmente più inclusivo. Bisogna tener conto dei problemi territoriali e delle diverse fasce sociali. Abbiamo famiglie nelle cui case la connessione internet non c’è o ci si divide l’unico pc di casa. Non si cada nel tranello di pensare che la rete possa sostituire le persone. Pensiamo ad esempio  al campo culturale,  la strada non può essere semplicemente trasferire su rete ciò che facevano le persone, nei teatri, al cinema, negli archivi delle biblioteche storiche. Il comparto culturale sarà fortemente in difficoltà. Se si vuole un’economia della conoscenza è giusto che aumenti e non che diminuiscano gli spazi dedicati, relegare l’intero comparto allo spazio virtuale vorrebbe dire affossarlo”.

Che approccio bisognerebbe avere guardando al futuro, per non ricadere in una simile emergenza?

“La questione è che bisognerebbe immaginare delle strategie nei confronti di fenomeni che non è detto siano gli ultimi da affrontare. Il lockdown non basta, va bene nell’immediato e quando si ha la consapevolezza che è troppo tardi per altre misure, ma nel frattempo bisogna pensare a strumenti che controllano e contengono. Mi rendo cono che si tratta di qualcosa che non si risolve in poco,ma non si può pensare che le tecnologie servano solo quando uno è già  malato. Bisogna pensare alle tecnologie come a qualcosa in grado di  accelerare l’integrazione tra socialità, salute, privacy e vita personale. Usiamo i dati, l’innovazione tecnologica per tracciare in fretta e subito l’insorgenza dei problemi, in maniera interconnessa per diffondere rapidamente le informazioni corrette e per tracciare l’evolvere dei fenomeni. Non abbiamo ad esempio sistemi di governo e controllo che abbiano la capacità di comprendere le dinamiche sociali. Continuiamo ad avere e adoperare strumenti di intervento di un mondo che non c’è più. Usiamo la tecnologia per rendere più forti rapporti umani non per disgregarli”.

Finito il lockdown, con la riapertura di tante aziende ed attività, cosa accadrà?

“Per iniziare occorrerà essere molto cauti, il che certamente non vuol dire liberi tutti. Sarà complicato pensare ad una nuova organizzazione del lavoro, ci vorrà coraggio e impegno nell’organizzare spazi, turni, modalità diverse per garantire a tutti le stesse tutele  e per non avere una ripartenza drammatica del virus. Nessun sistema economico reggerebbe ad un altro colpo. Sarà un problema anche di equilibrio tra responsabilità personale e collettiva”.

In tutto questo che ruolo può avere la politica?

Nessuno deve giocare da fuori cercando di essere il più furbo per guadagnarci o dovrà usare la politica come strumento di denigrazione dello Stato e delle regole, quello sarebbe un gioco allo sfascio. Da qui in avanti la politica dovrà fare i conti con questioni che saranno sempre meno di principio e più di contenuto. Dovrà essere in grado di costruire processi che funzionino. Nel nostro paese, da sempre, ogni qual volta si è dovuto affrontare qualche crisi imponente, la politica è ricorsa ai massimi principi. Esempio: non basta dire ci vogliono le mascherine, bisogna che ci siano davvero. Giusto difendere le proprie opinioni e fare le doverose critiche ma bisogna uscirne insieme in maniera costruttiva. La politica è passione, gratificazione, umanità, senza tutto questo non funziona.

Domani sarà un Primo Maggio senza lavoro, cosa si sente di dire ai tanti lavoratori che sarebbero scesi in piazza?

“Voglio iniziare col dire che sono commosso dallo straordinario senso di civiltà e responsabilità che tanti lavoratori hanno dimostrato in queste settimane, a riprova del fatto che non siamo un paese fatto di gente che pensa e agisce solo nel proprio interesse. Penso  che questo primo maggio dovrebbe farci riflettere sulla necessità di riequilibrare i fenomeni di solidarietà. Dovremmo iniziare ad essere disposti ad avere tutti un po’ meno, affinché tutti abbiano un pochino di più. Credo sia tempo di tornare a ricostruire, anche su valori nuovi e diversi, fenomeni di solidarietà e in questo diventa fondamentale il ruolo dei sindacati e dei partiti.

Dobbiamo sforzarci di uscire da una fase in cui tutto sembra implicato da problemi tecnici. E’ la volontà che muove le cose, non la tecnologia. Questo Primo Maggio sia una grande mobilitazione della volontà. È da molti anni che non si ha il coraggio di dire che i problemi non si risolvono con la tecnica. Le opinioni sono certamente sempre legittime ma se conducono ad un senso di responsabilità. Un grosso valore da rimarcare nella giornata di domani, sarà quello di  rafforzare ad esempio l’unità sindacale, rimuovendo cause di discussione e polemiche che non siano finalizzate ad ottenere un buon risultato, utile a tutti. Non dobbiamo cadere nella contrapposizione tra virtuale al reale. Quando il mondo evolve non cancella il passato ma lo integra per poter andare avanti, secondo rapporti che costituiscano e generino comunità. Ecco, la comunità è l’unico luogo in cui possiamo avere la garanzia che l’informazione non venga usata contro le persone ma per le persone. E allora ricostruiamola questa comunità”.

 

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