Una “strategia estorsiva volta a indurre i vertici della Juventus a modificare la propria politica in materia di biglietti ai gruppi ultras”. Di questo sono stati riconosciuti colpevoli alcuni leader della tifoseria organizzata bianconera condannati lo scorso 20 ottobre al termine del processo Last Banner. E’ quanto scrive il tribunale nelle motivazioni della sentenza con cui per la prima volta in Italia è stata riconosciuta l’associazione per delinquere nel contesto delle tensioni negli stadi di calcio.
Gli episodi contestati risalgono alla stagione 2018-19. Secondo i giudici lo strumento principale di pressione degli ultrà era il cosiddetto “sciopero del tifo”, assicurato “imponendo ai tifosi ordinari, se del caso anche con la minaccia e l’intimidazione, di non cantare o addirittura di non esultare ai gol della squadra”, una condotta riconducibile al reato di violenza privata.
Nelle conversazioni intercettate si fa riferimento alla necessità di “fare guerriglia” per garantire la compattezza della curva. Il tribunale si è anche soffermato sulle “condotte estorsive” portate avanti ai danni dello Slo (supporter liason officer) della società, Alberto Pairetto, e di altri dirigenti bianconeri.
Era stata una denuncia della Juventus (che al processo si è costituita parte civile) a far partire le indagini, svolte dalla Digos della questura di TORINO. La pena più alta (quattro anni e sei mesi di reclusione) è stata poi inflitta a Dino Mocciola, indicato come il leader dei Drughi.