Chissà com’è rimasto El loco quando ha interrotto i festeggiamenti per la clamorosa nomina a presidente dell’Argentina per rispondere alla telefonata con il saluto benevolo di Papa Francesco.
Quel Papa da lui pubblicamente definito imbecille, rappresentante del maligno nella casa di Dio e sulla terra, gesuita con affinità con i comunisti assassini, con cui si è intrattenuto per otto minuti. Un atteggiamento quello del nuovo leader argentino che aveva creato non poche preoccupazioni sia al clero locale molto impegnato verso i poveri , sia al Papa che aveva manifestato la volontà di tornare nel suo paese “alla fine del mondo”. La comunicazione telefonica si è conclusa, da quanto è trapelato, con l’invito di Milei per una visita del pontefice. Un gesto che la dice lunga sulla forza e la saggezza di questo Papa.
Ma torniamo all’onda inattesa, come quella grillina della prim’ora, che ha travolto l’Argentina sommergendo peronisti e liberali da tempo al potere. Il risultato è stata una vera debacle per il ministro dell’economia del governo di centrosinistra Sergio Massa che ha ottenuto solo il 44,3% dei consensi, surclassato dal 55,6 dell’outsider di destra Javier Milei. Un istrionico e provocatorio cinquantatreenne ex calciatore (portiere del Chacarita Juniores), cantante rock emulo di Mick Jagger, di umili origini italiane (padre autista autobus e madre casalinga), distintosi anche nei media come conduttore radiofonico e attore. Sarà lui per quattro anni il nuovo presidente, smentendo clamorosamente ogni sondaggio. Il nuovo leader ha ottenuto 14,5 milioni di voti, partendo dagli otto milioni nel primo turno. Un balzo incredibile per un personaggio antiabortista, che proponeva la libera vendita di armi da fuoco e degli organi umani e che nel suo surreale pensiero definiva il gangster Al capone come un grande benefattore sociale. Naturalmente per questo personaggio il cambiamento climatico è una bufala dei socialisti.
Questo in un paese vastissimo, ricco di materie prime, con 40 milioni di abitanti. Quell’’Argentina che, grazie all’export di carne e cereali, ebbe nei primi decenni del secolo scorso un pil pari a quello della Francia. Un’economia che attirò masse di emigrati, molti dall’Italia, che preferirono una realtà latina dal clima caldo, ospitale e cattolica.
Un paese oggi di nuovo toccato da una crisi da risvolti sociali e finanziari drammatici: 40% della popolazione sulla soglia della povertà, inflazione galoppante vicina al 150, disoccupazione, corruzione e insicurezza con un debito pubblico di oltre 400 miliardi di dollari. Un peso oggi vale 0,0026 dollari. Il prezzo di diversi beni di prima necessità è raddoppiato in meno di un anno e continua ad aumentare. Un fatto che spiega la rabbia popolare e la propensione per un cambiamento radicale per quanto incerto.
A quarant’anni dei fine dei regimi militari (Videla), tristemente famosi per gettare gli oppositori nell’oceano (i desaparecidos) ha vinto “el loco”. L’anarcoliberista, così ama definirsi, Javier Milei ha conquistato la Casa Rosada aprendo una fase nuova carica di incertezze.
La vittoria del descamisados iperliberista definito, non solo per la capigliatura bizzarra e per lo stile per nulla ortodosso, “il Trump di Buenos Aires”, oltre ad essere figlia di un uso spregiudicato dei social, di TikTok e dell’intelligenza artificiale, trova ampie motivazioni nello scarso appeal della perdurante area progressista peronista ormai vista come una casta lontana dal pueblo, a volte corrotta, che ha perduto ogni afflato rivoluzionario. Non ha convinto la ricetta governativa di arrivare ad un’unione politica nazionale che assicurasse ripresa economica e difesa dello stato sociale, proprio a favore dei ceti più deboli. Insomma attaccare gli avversari come grezzi e impreparati non è molto servito.
Milei è un personaggio a dir poco bizzarro appassionato di spiritismo e sesso tantrico, che ha ritrovato nel trumpismo riferimenti per la sua critica feroce agli effetti della globalizzazione sull’economia. Gli slogan forti e le trovate pubblicitarie hanno prevalso rispetto alle figure non certo eccelse che il neo presidente ha registrato nei confronti televisivi con i saccenti ma poco amati avversari. Un candidato che, oltre a Trump, riprende alcuni baluardi del pensiero ultraliberista dell’economista Milton Friedman e i suoi Chicago Boys (che furono molto vicini alla dittatura del Cile di Pinochet). Una salsa anarcocapitalista iper individualistia dalle influenze reaganiane. Principi che, secondo i critici, difficilmente potranno aver peso in un paese in cui il ceto medio è sparito, con quasi metà della popolazione sulla soglia della povertà. Insomma non si vedono grandi spazi per assicurazioni private e bonus che sostituiscano la sanità pubblica o per privatizzare l’apparato della scuola.
Questo mentre l’inflazione divora il potere d’acquisto e trasforma i pesos in carta straccia. Una spirale perversa e drammatica, specie per i ceti popolari che piombano sempre più nella miseria e che obbliga le persone a disfarsi dei pesos anticipando gli acquisti in tutta fretta prima che il loro valore scenda ulteriormente.
Uno scenario che Buenos Aires ha già vissuto sul finire degli anni ’90 (inflazione 200%) dopo un periodo finanziario turbolento. I ribaltoni politici tra peronisti e liberisti non hanno di molto cambiato il quadro di un paese sul quale pesa un indebitamento che ha portato a reiterati default dei titoli sovrani argentini (ben nove volte, un vero record mondiale), come quello registrato nel 2000 quando il paese iper indebitato non ha più potuto ricorrere ai finanziamenti internazionali, stampando moneta inflazionata per il fabbisogno interno della spesa pubblica.
La ricetta iperliberista del leader di Libertad Avanza, per frenare l’inflazione galoppante prevede misure shock per invertire la rotta catastrofica del paese: brusco taglio delle tasse, una marea di privatizzazioni (anche per scuola e sanità), meno controlli sui capitali. Il tutto affiancato da una improbabile “dollarizzazione”, ovvero l’adozione del biglietto verde come moneta nazionale con la chiusura della Banca Centrale. Si vedrà se questi propositi non saranno solo slogan elettorali. Inoltre si strizza più di un occhio al via libera dei capitali di qualsiasi provenienza, ovvero “Pecunia non olet”. Un passaggio quello al dollaro alquanto complesso che certo eliminerebbe il mercato nero e tutelerebbe il potere d’acquisto ma renderebbe davvero carta straccia la moneta e finanza locale. La dollarizzazione in ogni caso non cancellerebbe un debito verso la finanza internazionale cresciuto a 44 miliardi di dollari tra crack, riscadenziamenti e default. Un debito già pesante anche per il solo rimborso degli interessi.
Milei dovrà fare i conti con un 40% di popolazione che sopravvive grazie a sussidi e agevolazioni. Interventi che la ricetta antistatalista potrebbe ridimensionare. Certo dopo gli eccessi di una campagna elettorale, che ha avuto come simbolo anche una motosega con cui si è presentato in alcuni comizi, ora il nuovo presidente pare abbandonare toni aggressivi e violenti, tenendo anche conto di quell’area moderata liberale che lo ha appoggiato (indirizzando circa sei milioni di consensi) in modo determinante nel rush finale elettorale. Infatti difficilmente Milei presidente si pensa potrà dar seguito ai deliri elettorali in cui ha predicato l’intenzione di mettere fine all’educazione e della salute pubblica (stato minimo) insieme al blocco delle relazioni con i paesi comunisti nei quali comprende quella Cina e quel Brasile che rappresentano due partner commerciali di primissimo piano, oltre a una improbabile e già smentita chiusura verso il Vaticano.
Le reazioni
Da registrare come Sergio Massa abbia subito ammesso la sconfitta evitando di parlare di complotti e brogli, cosa che spesso caratterizza la realtà trumpiana quando perde.
L’ex presidente Trump si è subito congratulato con il Milei affermando che “renderà l’Argentina di nuovo grande”, mentre Blinken ha sottolineato come le elezioni abbiano avuto uno svolgimento pacifico con una grande partecipazione. Anche l’ex presidente brasiliano Bolsonaro ha espresso la sua soddisfazione per il successo dell’ultradestra.
Un quadro molto incerto e per nulla chiaro che vede sul fronte progressista una grande preoccupazione per la svolta che potrà prendere un Argentina già in grande difficoltà. Una preoccupazione che tocca anche molti esponenti del clero, specie i tanti sacerdoti impegnati con i poveri in aree di forte degrado.
Con il Vaticano rapporti non facili
La citata telefonata di Papa Francesco ha rimesso una prima toppa in piedi ad un dialogo a dir poco problematico tra il vaticano e il nuovo vertice argentino. A partire da quel viaggio nel suo paese d’origine, alla “fine del mondo”, che Papa Francesco ha più volte auspicato. Un quadro pesante per i feroci e pesanti attacchi rivolti da Milei a Papa Francesco. Un fatto che ha colpito ben oltre le diverse stramberie folkloristiche del presidente con la motosega o vestito da super eroe. Tanto che alcuni sacerdoti hanno tenuto una messa riparatoria per Papa Francesco negli slum di Buenos Aires per riparare agli insulti rivolti proprio da Milei al pontefice.
Una valanga di insulti e improperi quelli espressi dal nuovo leader che sono costanti nella vandea quotidiana dei siti complottisti che sul web rilanciano bufale come quella del codice Ratzinger, parlando di invasioni dell’anticristo dietro le mura leonine. La telefonata del 21 Novembre di Bergoglio al nuovo presidente pare aver cambiato il quadro in un paese legatissimo alla Chiesa cattolica.
Ora dopo tanta sorpresa c’è grande attesa per le prime mosse di questo governo anarcoliberista.
In ogni caso si tratta di un’ennesima vittoria di un soggetto, anzi di un personaggio populista, non proprio in linee con la politica tradizionale, che dovrà ora vedersela con un quadro sociale e finanziario davvero pesantissimo. Per la sinistra saccente e poco amata si tratta di un ennesimo grande campanello d’allarme in vista delle importanti consultazioni europee e soprattutto americane. Non a caso alcun hanno visto nel successo de El loco la premessa del ritorno di Donald Trump.