Ancora una volta in piazza per denunciare lo scempio della Terra dei Fuochi. Questa volta sarà il 16 novembre, alle 14,30, sempre a Napoli, ma in piazza Mancini. Dopo anni di denunce dei comitati che non riuscivano a sfondare il muro di gomma dei media, adesso qualcosa sembra finalmente muoversi. Nei giorni scorsi sono state approvate in Parlamento delle mozioni sulla Terra dei Fuochi e, dopo decenni di sversamenti, di ogni genere di materiale tossico e industriale, lo scarico e l’incendio di rifiuti, la contaminazione di un pezzo di territorio fra le province di Napoli e Caserta, potrebbe mettersi in moto un cambiamento. «Le responsabilità enormi dell’ecocidio che si sta consumando nella “Terra dei fuochi” e in quello che è stato ribattezzato “Il triangolo della morte” arrivano da un passato trentennale ma riguardano soprattutto il futuro. La gravità della situazione – denuncia Legambiente – richiede risposte concrete urgenti, da troppo tempo rimandate, di cui le amministrazioni locali e il governo nazionale devono farsi carico».
Solo in parte le cifre riescono a rendere l’idea della tragedia che si sta compiendo: la Terra dei fuochi è una zona di oltre 220 ettari in cui, secondo i dati di Legambiente e dell’Arpac, l’agenzia regionale di protezione ambientale, dal gennaio 2012 all’agosto 2013 ci sono stati oltre 6000 incendi. I siti inquinati sono oltre 2000. è per questo che Legambiente parla apertamente di “ecocidio” che avrà certamente delle gravi conseguenze dal punto di vista dell’ambiente e della salute: «i continui smaltimenti illegali di rifiuti, con la dispersione di sostanze inquinanti nel suolo e nell’aria, e l’inquinamento delle falde acquifere – denuncia ancora Legambiente – sono strettamente correlati con l’incremento di varie forme di tumore. Un crimine in piena regola. Oggi però, grazie all’impegno di magistrati, forze dell’ordine e cittadini, conosciamo i responsabili e le aziende coinvolte in questo crimine».
Dal 2001 a oggi le indagini della magistratura hanno portato a processi come Spartacus, Adelphi e Cassiopea, per citare alcune delle 33 inchieste portate a termine con 311 arresti, 448 indagatui e 116 imprese coinvolte, oltre che a scoprire un traffico complessivo di due milioni di tonnellate di rifiuti.
Per quanto riguarda le cose da fare, per Legambiente è urgente: « che sia rafforzata l’attività di controllo, prevenzione e contrasto delle attività illegali di smaltimento dei rifiuti, che venga predisposta una specifica attività di mappatura dei siti inquinati e di campionamento dei prodotti alimentari provenienti da queste aree e che sia istituito il sito di interesse nazionale».
Oltre a questo, spiegano da Legambiente, è necessario introdurre i reati ambientali nel codice penale italiano. «’introdurrebbero così finalmente, accanto al delitto già in vigore di attività organizzata di traffico illecito di rifiuti, quelli di inquinamento ambientale, frode in materia d’ambiente, danneggiamento delle risorse ambientali, alterazione del patrimonio naturale e di disastro ambientale, insieme all’obbligo di bonifica e, ove possibile, di ripristino dei luoghi compromessi, a carico del condannato».
Adesso la questione chiave si chiama bonifica. Da una parte c’è chi sottolinea l’urgenza di intervenire, ma dall’altra, in una terra che ha già conosciuto un altro scempio, ossia quello legato alla ricostruzione dopo il terremoto, c’è il timore che anche la bonifica possa diventare un’occasione di malaffare.
Se qualche anno fa, un camorrista poteva spiegare, nel corso di un interrogatorio, che la monnezza, ossia la spazzatura, era diventata oro, c’è il timore che questo possa essere ancora vero. E la diffidenza è forte, soprattutto dopo la desecratazione dei verbali dell’interrogatorio del boss Carmine Schiavone davanti alla commissione parlamentare sulle ecomafie.
Ci sono voluti 17 anni perché quell’interrogatorio fosse reso pubblico. In realtà, quello che ferisce e scandalizza, fra gli abitanti della Terra dei fuochi non è tanto la rivelazione di cose nuove, quanto la durata del silenzio sulle attività criminali dei clan, ma anche di tutti quelli, a cominciare dalle industrie, che hanno contribuito a questo sistema che non solo ha avvelenato un pezzo di quella che era la Campania Felix, ma ha gettato un’ombra inquietanti su territori e prodotti, fra cui molte dop e igp che non sono affatto inquinati.
I sequestri proseguono senza sosta. Oggi, su ordine della Dda di Napoli, il Corpo Forestale ha sequestrato nella zona di Caivano 13 pozzi di irrigazione e 43 ettari di terreno, coltivati, spiegano gli inquirenti: «insalata, broccoli, cavoli, finocchi, verza, cicoria, zucchini, sia in campo aperto che in serra, prossimi alla raccolta ed alla loro immissione in commercio». L’acqua usata per innaffiare i terreni era inquinata da: «fluoruri, solfati, manganese, arsenico e cloroformio». Nella Terra dei fuochi la guerra non si ferma mai.
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