Carissimi colleghi di Nuova Società, inimitabili tifosi del Toro e, massì, anche a lei caro Cerci dal futuro radioso. Per anni nel calcio a raccontare storie di uomini ancor prima che vicende agonistiche e da cinque stagioni fuori dai giochi per deliberata e consapevole scelta professionale, mi permetto di dissentire non poco dalle valutazioni negative che sono state date alla fiction “La farfalla granata”.
Certamente non un capolavoro, sotto il profilo tecnico e registico rispetto a quel che dovrebbe essere il cinema d’autore, ma sicuramente un’opera “nazionalpopolare” di assoluta dignità. La levata di scudi contraria da parte dei tifosi, mi pare di capire, fa capo ad un presunto mancato approfondimento del “periodo torinista” tracciato indelebilmente dal povero e indimenticabile Gigi. Gol, azioni, imprese da campo e quant’altro insomma. Nel caso fosse stato seguito questo percorso piuttosto che quello proposto dal film, ci saremmo trovati a fronte di un “documentario” sicuramente buono per la bella serie di “Storie”.
Ma non era certamente quello lo scopo degli autori. Ecco, dunque, sullo schermo e nelle case arrivare l’altra parte di Meroni, quella più autentica, più vera e più umana. Tant’è, mia figlia Chiara che ha diciotto anni e manco sapeva chi fosse Meroni ha visto il film spontaneamente e alla fine lo ha giudicato per ciò che voleva essere: una bella storia d’amore e di pallone dove un giovane bizzarro e un po’ sfigato riesce a catturare con la sua vicenda umanissima anche il popolo che non vive per il gol o per i miti di un gioco che, proprio oggi, Prandelli ha definito non più una passione ma un’ossessione.
E sempre Chiara, che del pallone sa cosa gli ha raccontato suo padre e cioè io, dopo l’ultima scena in cui Meroni viene atterrato e colpito mi ha detto: ma papà, l’avversario gli ha chiesto scusa…oggi si ammazzerebbero dentro e fuori dal campo. Meglio una scena così, dunque, che non una raffica di gol. Non trovate, cari amici?
Marco Bernardini