Piccoli, leggeri, versatili, maneggevoli, efficienti, multiuso, sicuri e non costosi. Possono fare un omlette, etichettare, avvitare, sistemare oggetti, effettuare manovre di precisione in laboratorio. Si attaccano alla normale spina della corrente e non si fermano mai. Sono i cobot (robot collaborativi) ben in mostra nel corso della presentazione a Torino, in via Lessolo, a due passi da Lungo Po Antonelli, della sede italiana dell’Universal Robots alla presenza del suo presidente Jürgen von Hollen.
UR è l’azienda danese, nata nel 2005, leader del settore, che ha inventato nel 2008 il primo robot leggero dalle mille applicazioni e che ora ha scelto Torino come sede per il suo lancio in Italia. Un segno nell’ automazione industriale. Un passo che con il tempo si è confermato come un’importante evoluzione dalla robotica tradizionale verso una di servizio quanto mai duttile, in grado di adattarsi alle esigenze più diverse, più vicina all’uomo ed a un utilizzo più domestico
Questa tipologia di robotica costituisce un mercato in piena espansione, che punta molto sulle piccole e medie imprese, tanto che stima per il 2021 un giro di 2 miliardi di dollari.
Oggi si contano 21mila cobot operativi nel mondo ma, nel giro di due tre anni, è previsto un aumento esponenziale delle vendite nei settori più disparati, compreso quello della scuola, dell’educazione e della ricerca. Comparti a cui Alessio Cocchi, responsabile commerciale Universal Robots Italia, rivolge una particolare attenzione: «Abbiamo avviato un importante collaborazione con il Politecnico perché siamo di fronte a sviluppi e applicazioni in continua e rapidissima evoluzione nei campi più diversi».
Continuando con i dati, quelli piemontesi e italiani risultano in linea con le tendenze del mercato. Un mercato che vede metà delle sue vendite in Europa, un quarto nelle Americhe e il resto in Asia e Africa.
Il 2017 è stato l’anno chiave per il consolidamento del fenomeno cobot, con vendite salite del 72%, mentre per il 2018 il presidente Von Allen prevede un’ulteriore crescita dei ricavi di almeno il 50%: «il mercato dei cobot dovrebbe continuare ad essere uno dei principali driver di crescita nel mercato dell’automazione. La mia aspettativa è continuare a sfruttare la posizione di leader di mercato e crescere allo stesso tasso dei robot collaborativi previsto per il 2018 globalizzando ulteriormente le vendite e la portata dei nostri servizi».
Le parole flessibilità e facilità di impiego sono i fattori chiave di un successo rivolto a tutte le imprese ma in particolare ad operatori più piccoli che non dispongono di particolari risorse finanziarie e di personale per un prodotto che si presta a molte soluzioni adattando software e supporti tecnici.
I cobot sono prodotti in Danimarca ma gli sviluppi non escludono possibili altre soluzioni in futuro.
Per quanto riguarda questa scelta di Torino come base per il mercato italiano, e in particolare di zona Vanchiglietta, viene così motivata da Cocchi: «Non è un fatto casuale. Non volevamo risiedere in un grigio capannone o in un ambiente anonimo fuori da una città che rappresenta un polo della robotica italiana». Questo ricordando come la manifatturiera robotica industriale sia nata in Piemonte, al servizio dell’industria automobilistica, e come qui siano presenti significative professionalità e competenze legate alla robotica e alla sua integrazione in un contesto vivo e dinamico di piccole imprese che rappresentano uno dei naturali sbocchi per l’impiego dei cobot.
Con orgoglio infine Cocchi ribadisce: «Noi abbiamo inventato questo prodotto dando origine al segmento della robotica collaborativa. In fondo siamo come la Apple per l’Hi Phone».
Insomma con i robot collaborativi le fantascientifiche guerre tra uomo e robot vengono ampiamente ridimensionante in quanto con i cobot sono progettati non per sostituire gli operatori ma per assisterli e aiutarli nei ruoli più impegnativi.
Infine c’è chi si spinge anche a trovare i cobot come promotori di un approccio in grado di creare nuovi lavori meno faticosi, ripetitivi, noiosi, più creativi, remunerativi ed a maggior valore aggiunto. Insomma in grado di spingere la crescita di posti di lavoro molto diversi da quelli precedenti e sicuramente qualitativamente migliori. Un bel discorso forse solo per l’occidente ma in ogni caso si tratta di un trend tecnologico non invertibile.