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mercoledì, 23 Ottobre 2024

Investimenti, occupazione e qualità dello sviluppo

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La crisi non è ancora finita. C’è il rischio di una nuova bolla speculativa come nel 2000. La  sinistra italiana deve porre al centro del proprio programma un forte incremento del tasso di occupazione a tempo indeterminato per avvicinarlo quanto meno alla media europea.

 

di Marco Liberatori

Secondo i dati OCSE stiamo assistendo ad una ripresa economica a livello mondiale favorita, in particolare, dal basso costo del denaro praticato sia dalla europea Bce che dalla statunitense Fed. Partecipa anche il nostro Paese, se pure con incrementi del PIL inferiori alla media europea.

È forse la fine della crisi che aveva provocato un crollo della nostra produzione industriale vicina al 25% ? Ma qui le valutazioni divergono e c’è chi, come Draghi, sostiene che se alla manovra monetaria non seguono drastiche riforme non si esce dalla crisi. Valutazione analoga quella del Governatore della Banca d’Italia Visco secondo il quale si tratta solo di una ripresa congiunturale e senza riforme strutturali si può incorrere in una nuova fase recessiva.

Di parere opposto economisti neoliberisti e il presidente americano Trump, sostenitore dell’alta finanza che sta eliminando quanto fatto da Obama per porre degli argini allo strapotere delle banche. A temperare l’ottimismo di Trump il pericolo, ventilato non solo dalla Yellen presidente della Fed, di una nuova bolla speculativa, come già avvenuto nel 2000 (allora attribuita alla speculazione su Internet e nuove tecnologie), ma oggi dovuta al livello eccessivo delle quotazioni borsistiche, ai prezzi delle materie prime alle stelle, agli utili delle maggiori banche europee che nel primo trimestre di quest’anno hanno superato di otre il 20% quelli del 2016.

Ma, al di là di tutto ciò, è corretto sostenere la possibilità di un ritorno alla situazione ante crisi del 2007 soltanto in termini di sviluppo economico? Tralasciando la sfera sociale e, in particolare, la situazione dell’occupazione (in termini quantitativi, qualitativi e retributivi) penalizzata dalla crescente robotizzazione dei processi produttivi ? Sarebbe, a mio parere, un errore che nessun governo potrebbe commettere senza pregiudicare, oltre alla propria sopravvivenza, quella della stessa economia nazionale. Ma forse più che d’interesse nazionale occorre parlare d’interesse europeo dato che ormai la strada da percorrere per l’uscita dalla crisi non può trovare soluzione che a tale livello pur non trascurando i contributi nazionali.

Pertanto la necessità, per la sinistra italiana, di porre al centro del proprio programma quello di un forte incremento del tasso di occupazione a tempo indeterminato nel nostro paese per avvicinarlo quanto meno alla media comunitaria. Affrontando, In tale contesto, anche quello di contenere la “fuga di cervelli “ in continuo aumento, ponendosi l’obiettivo d’invertirne la tendenza. Questo richiede consistenti investimenti da parte sia dei governi nazionali che, in misura sempre maggiore, della Unione europea per il reperimento dei quali varrà la pena di aprire quanto prima il discorso.

Il programma d’investimenti che l’Unione europea si appresta a varare riguarda le sovrastrutture in alcune delle quali l’Italia registra enormi ritardi. Un caso per tutti: il 93% delle merci viaggia ancora su strada con tutti i costi che ciò comporta non solo in termini economici. L’Italia potrebbe chiedere anche (esito elettorale tedesco del 24 settembre permettendo) l’inserimento, in tale piano d’investimenti del Progetto di risanamento Idrogeologico e Sismico, in base ai criteri ecologici più avanzati. Oggi, a mio avviso, più che mai attuale come ben evidenziato dal “Rapporto sul dissesto idrogeologico in Italia: pericoli e indicatori di rischio” presentato dall’ISPRA.

Un progetto da sempre richiesto dalla sinistra italiana ed oggi condiviso anche da molte altre forze politiche nazionali. Ma penso anche ad altri partiti europei molto sensibili su questi temi. Guardo, ad esempio, ai Verdi tedeschi (maggiore presenza verde al Parlamento europeo). Si tratta d’investimenti ad alta intensità di forza lavoro capaci di alleviare notevolmente il nostro tasso di disoccupazione e di ridurre gli enormi costi umani, ecologici ed economici che, se pure con qualche contributo europeo, dobbiamo sostenere annualmente. Si creerebbero quindi molti posti di lavoro stabili per un ampio lasso di tempo data l’enorme mole di lavoro che un piano di questo genere prevede. Si darebbe un forte impulso ai settori manifatturieri operanti per l’economia verde nel quadro di questo green new deal, fattore determinante per una diversa qualità dello sviluppo.

Il sensibile aumento della domanda interna che ne deriverebbe stimolerebbe gli investimenti privati, in particolare della maggioranza delle piccole e medie imprese che operano soltanto sul mercato nazionale, con relativo aumento dell’occupazione.

Ovviamente la possibilità di ottenerne l’approvazione richiederà l’impegno, non solo parlamentare, di tutta la sinistra europea ricercando la convergenza sugli obiettivi di altre forze disposte a partecipare alla sua elaborazione.

 

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