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sabato, 27 Luglio 2024

Il naufragio del sindaco Doria

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Nuova Società nasce nel 1972 come quindicinale. Nel 1982 finisce la pubblicazione. Nel 2007 torna in edicola, fino al 2009, quando passa ad una prima versione online, per ritornare al cartaceo come mensile nel 2015. Dopo due anni diventa quotidiano online.

Tempi duri per gli arancioni, non solamente in conseguenza della pioggia battente e del freddo incombente su molte città italiane, difficoltà piuttosto comune e trasversale, non dipendente dal ceto sociale o dalla provenienza politica. È un ottobre nero per i sindaci della presunta Rivoluzione arancione del 2011, quando “i sindaci della società civile” vinsero in fila le elezioni comunali di città importanti (Milano, Genova, Napoli e Cagliari) e si proiettarono nell’illusorio immaginario della riscossa della civica sinistra. Qualche anno dopo non è la cattiveria analitica di qualche antipatico commentatore ma è la realtà delle cose a scoprire il lenzuolo che ha fin qui coperto il colorato bluff. La rovina di Luigi De Magistris, estromesso dalla poltrona di sindaco del Comune di Napoli dopo la sua condanna per l’inchiesta Why not, ha rappresentato l’antipasto di una decadenza, politica, di una stagione fin qui troppo incensata, che oggi affronta la palude del fallimento. Un insuccesso innanzitutto amministrativo, espressione di un malgoverno evidente, figlio di un idealismo svanito così come di una trappola scattata. Se De Magistris è il faccione da copertina della sconfitta, Marco Doria, sindaco di Genova, è l’interprete massimo del triste naufragio, innanzitutto genovese poi arancione. Anche Giuliano Pisapia, primo cittadino di Milano, da qualche tempo si starà guardando le spalle.
Odissea Genova
La valanga di acqua e fango che ha sommerso Genova continua a far discutere, occupando le cronache nazionali con il racconto dell’inaudito disastro così come con lo stato di accusa della classe politica, imprenditoriale e burocratica che ha generato il pasticcio. Come in ogni “Corte di giustizia italiana”, in televisione come in Parlamento, la melma della complessità e dell’omertà non si pone alcuno scrupolo nel contagiare tutto quanto incontra per le strade. La città di Genova è stata devastata dalla seconda alluvione nel giro di tre anni, il che è già di per sé incredibile, ma se si leggono le dichiarazioni delle molteplici istituzioni nostrane, la responsabilità del disastro abita sempre altrove, lontano, nel bosco della ricostruzioni di convenienza. Non è mai colpa di nessuno, ogni rappresentante della politica genovese o nazionale ha immancabilmente un capro espiatorio per la sua mancanza, politica o amministrativa che sia. Doria, il sindaco di Genova, non sarà l’unico colpevole dell’alluvione che sta affliggendo il genovese, ma di fronte alla disperazione della gente, dei commercianti avviliti e degli abitanti sommersi, si richiederebbe una statura un poco più morigerata: il governatore di una grande città è inevitabilmente il primo responsabile di quanto succede, non è sufficiente (e accettabile) giustificarsi, come ha fatto il sindaco di Genova, lamentandosi del mancato avviso ricevuto, anche perché mentre il fiume Bisagno cominciava la sua drammatica esondazione, Doria sedeva tranquillamente sulla sua poltroncina prenotata del Teatro Felice per l’inaugurazione della stagione lirica. Tutto normale e comprensibile? I cittadini di Genova non sembrano di quest’opinione, e non hanno mancato di farlo sapere al sindaco nella sua “passeggiata del dolore” in centro.
Sistema Italia
Il segnale di pericolo sull’acqua in arrivo è stata data, via sms, solamente ai cittadini iscritti al sistema di allarme telefonico, alle 23:19. Un tempismo discutibile, perché mentre veniva annunciato «di prestare massima attenzione nella zona della val Bisagno» il torrente era già esondato e un uomo affogato. Come ad ogni alluvione sono arrivate le caterve di lamentele e rimostranze: la Protezione Civile ha piagnucolato perché non ha i mezzi necessari per intervenire, la Regione Liguria ha rinnovato l’ostilità nei confronti dei ricorsi eseguiti al Tar, mentre l’imponente tribù delle grandi opere non mancherà, prossimamente, non oggi, di evidenziare le sue lagnanze sull’esigenza di una “giusta” divisione della torta degli appalti. Un sistema italiano di governo che, non solamente a Genova, ha mostrato i suoi limiti e le sue brutture. Fallimenti che potrebbero implicitamente dare una mano al sindaco Doria per trovare una risposta al suo interrogativo: «Le dimissioni? Posso anche pensarci». Una risposta che in Italia, non solamente in Liguria, per civiltà, dovrebbero darsi in tanti, in termini affermativi, quantomai dopo pasticci come quello di Genova o de L’Aquila o di quale altro angolo del nostro Paese che ha dovuto pagare per responsabilità eluse e derise da chi avrebbe dovuto avere compiti esattamente opposti.

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