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sabato, 7 Dicembre 2024

Processo Furchì, un ex 007 super teste: "Mi disse ti faccio fare la fine di Musy"

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Giulia Zanotti
Giulia Zanotti
Giornalista dal 2012, muove i suoi primi passi nel mondo dell'informazione all'interno della redazione di Nuova Società. Laureata in Culture Moderne Comparate, con una tesi sul New Journalism americano. Direttore responsabile di Nuova Società dal 2020.

Se tutto venisse confermato, ci sarebbe un nuovo colpo di scena al processo a Francesco Furchì, il presunto assassino del consigliere comunale di Torino dell’Udc Alberto Musy. Infatti, il presunto killer, in carcere si sarebbe lasciato scappare affermazioni importanti: non una vera e propria confessione, ma parole che andrebbero ad avvalorare la tesi che a sparare quel 21 marzo del 2012.
Sarebbe stato lui, Furchì, a Pietro Altana, ex collaboratore dei servizi segreti, condannato per furto nel 2012, avrebbe detto durante un diverbio «ti faccio fare la fine che ho fatto fare a Musy». I due detenuti, discutevano, secondo il pubblico ministero, Roberto Furlan, sull’arma del delitto, che secondo l’accusa sarebbe stata nascosta da Felice Filippis in un capanno. Inoltre, Furchì, secondo la Procura, avrebbe minacciato Altana perché voleva che gli venissero restituite alcune lettere, prova dei suoi contatti con Filippis, conosciuto da entrambi. L’ex 007, dopo la richiesta dei pm, e dell’avvocato della famiglia Musy, è stato chiamato sul banco dei testimoni. E qui il giallo dal racconto di Altana si infittisce di nuovi elementi. Furchì avrebbe chiesto ad Altana di entrare dentro la posta elettronica dell’ex procuratore di Torino Gian Carlo Caselli, della moglie, del pm Furlan e Giampaolo Zancan, (avvocato della famiglia Musy) e dell’ex moglie di Furchì Angelina Demori. Non solo, anche dei suoi stessi avvocati Giancarlo Pittelli e Maria Rosaria Ferrara e dell’associazione Libera. L’ex agente segreto, inoltre sostiene che Furchì gli chiese di accedere alla casella postale dell’associazione Magna Grecia di cui era presidente e della sua mail personale. La richiesta secondo il testimone era di cancellare tutto il contenuto. Dopo averlo salvato su una chiavetta usb. Ma Altana, si rifiutò: «Risposi che si poteva fare ma che sarebbe stato illegale – racconta al giudice – e che avrei rischiato dieci anni di carcere». Le richieste all’ex 007 sarebbero state insistenti, anche perché, Altana avrebbe ricevuto un favore in precedenza dal Furchì. Ma non avrebbe solo pensato a far sparire e-mail o far spiare quelle di chi è coinvolto nel procedimento: Furchì voleva entrare in affari con Altana e gli avrebbe proposto anche un business. Gli parla di riciclare dei soldi rubati, frutto di prelievi e su conti correnti vari. Furchì avrebbe fatto anche dei nomi di personaggi dell’alta finanza che avrebbero dato la mano ai due nell’affare. Il super teste insomma, racconta di un Furchì non depresso ma al contrario pronto per attività illegali.
Tornando all’arma del delitto, su indicazione di Altana, giovedì scorso la polizia ha perquisito un capanno in un orto di Caselle Torinese, che fino a poco tempo fa apparteneva a Felice Filippis, nell’intercapedine dove sarebbe stata nascosta, secondo l’indicazione dell’ex 007, la pistola, non c’era nulla, anche se oggi in aula Altana ha confermato che era lì.

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