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sabato, 27 Luglio 2024

Il killer di Leo condannato, ma libero. Il presidente della Corte d’Appello chiede scusa alla famiglia di Stefano

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Il presidente della Corte d’Appello di Torino, Edoardo Barelli Innocenti, ha chiesto scusa alla famiglia di Stefano Leo, assassinato ai Murazzi di Torino il 23 febbraio scorso. Scuse, visto che il reo confesso dell’omicidio, Said Mechaquat, quel giorno avrebbe dovuto essere in carcere, visto che c’era stata una condanna in via definitiva. Invece era libero.

«C’è stato un problema e faremo un’indagine interna accurata. Come rappresentante della magistratura e dello Stato chiedo scusa alla famiglia», dice Edoardo Barelli Innocenti. Il presidente ammette che c’è stato un errore: la cancelleria della Corte d’Appello non ha trasmesso la sentenza definitiva alla Procura, che di conseguenza non ha potuto emettere l’ordine di carcerazione.

«Sono qui a prendermi pesci in faccia come capo dell’ufficio. Abbiamo bisogno di cancellieri e assistenti, questo sì . Noi siamo qui, prima ancora che come magistrati, come esseri umani e credetemi che in questo momento il mio pensiero va ai parenti della vittima, nei cui confronti sento di dover porgere le mie condoglianze e partecipare al cordoglio per quello che è avvenuto».

«Partecipo al dolore della famiglia – ha aggiunto Barelli Innocenti – ma in questo caso particolare i giudici hanno fatto quello che dovevano fare. C’e’ stato un problema nell’esecuzione della sentenza, me ne posso anche scusare, ma non c’e’ alcuna certezza sul fatto che Said il 23 febbraio scorso non potesse essere comunque libero».

Per il presidente della Corte d’Assise d’Appello Fabrizio Pasi «In questa vicenda ci sono una serie di coincidenze negative e dolorosissime. Said era una persona pericolosa nell’ambito di maltrattamenti familiari, c’è un abisso tra quello che aveva fatto in passato e il delitto consumato ai Murazzi».

Intanto il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede «Già stamani l’ispettorato del ministero si è attivato proprio con la massima tempestività possibile perché dobbiamo verificare quello che è accaduto». Il ministero ha infatti inviato degli ispettori a Torino per fare luce sulla vicenda.

«La famiglia di Leo ha chiesto di incontrarmi. Ho detto sì. Anche io ho un figlio e fosse successa una cosa del genere, sarei mortificato. Vengano gli ispettori a vedere in che condizioni siamo», sottolinea Edoardo Barelli Innocenti.

«La persona indagata dell’omicidio – aggiunge – ha commesso maltrattamenti in famiglia nel 2013, la sentenza di primo grado che lo condanna è del 20 giugno 2016, a tre anni di distanza dai fatti. E stato proposto appello, come sapete la corte d’Appello è in grave ritardo, però in questo caso ha emesso un’ordinanza di inammissibilità il 18/4/2018, cioè entro i due anni previsti dalla legge Pinto. Una volta che il giudice ha emesso il provvedimento, sia sentenza o ordinanza, il provvedimento passa alla cancelleria e può essere impugnato in cassazione. Se come in questo non è stato fatto, la cancelleria mette un timbro di irrevocabilità dopodiché c’è fase esecutiva che spetta alla procura».

«La sentenza – continua- è divenuta irrevocabile l’8 maggio 2018, se noi fossimo nel migliore dei mondi nei possibili, se il 9 maggio il cancelliere avesse visto che era stato condannato a un anno e sei mesi senza condizionale e avesse trasmesso immediatamente l’estratto alla procura e questa avesse eseguito questa sentenza non c’è alcuna garanzia che il 23 febbraio sarebbe stato in carcere Per cui l’equazione che ho letto sui giornali mancava solo una firma bastava trasmettere questo o quest’altro perché ciò non succedesse, non è così».

 «Anche in sede esecutiva se uno si comporta bene ha 45 giorni di beneficio. Inoltre anche se è stato condannato con sentenza definitiva e va in carcere, l’imputato può accedere a misure alternative, quindi – sottolinea – le cose scritte non sono così. E anche attribuire alla corte d’appello l’attenuante generica della carenza di personale perché è una scriminante».

«Non c’era alcuna garanzia che anche se fosse stata eseguita quella sentenza il 23 febbraio l’imputato di questo gravissimo fatto non sarebbe stato lì perché non è detto che non avrebbe potuto accedere alle misure alternative, una volta anche eseguita la sentenza quindi avrebbe potuto trovarsi lì cine avrebbe potuto trovarsi lì’ se il suo avvocato avesse fatto fatto ricorso in Cassazione», ha concluso il presidente della Corte.

 

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