Scritto da Gianluigi de Martino
Come tutti gli anni, nel week end pasquale si consumano i rituali religiosi e con essi quelli sportivi diventati ormai vere e proprie ricorrenze che, in alcuni casi, assumono l’importanza della migliore gita fuori porta per Pasquetta. In quei tre giorni si muovono carovane di automobili verso destinazioni turistiche e verso impianti sportivi, verso il mare o la montagna e allo stesso modo verso campi di calcio, palazzetti e strutture sportive trasformate per l’occasione in veri e propri formicai di volontari pronti ad accogliere famiglie, gruppi e autobus provenienti da ogni dove.
E Torino non è da meno. Sia per il traffico in uscita che per quello in entrata. E’ ormai consuetudine vedere moltissime società sportive attrezzarsi per cuocere panini con la salamella, hamburger, anche per vegetariani, patatine fritte e distribuire bibite di ogni tipo mentre sul tappeto verde si rincorrono palloni, si difende la propria porta, si prova la giocata che potrebbe entrare negli annali. Ed è bello vedere i capannelli che si formano intorno alle griglie improvvisate, aggregazioni di persone che hanno in comune solo la squadra in cui gioca il proprio figlio o semplicemente la passione per il calcio dei propri figli senza che giochino insieme, e che per la prima volta nella loro vita passeranno la Santa Pasqua o la Pasquetta insieme per poi diventare un rituale irrinunciabile per gli anni avvenire. Almeno finché il proprio bimbo continuerà a giocare i tornei pasquali.
E’ incredibile come un semplice torneo di calcio assuma connotati sociali ormai quasi estinti, o per lo meno inusuali, ricreando l’atmosfera di un passato che ormai troppo spesso sfuma nelle liti a bordo campo o nelle rivalità sciocche di chi perde il senso della realtà e dimentica il significato di ciò per cui è lì su quella tribuna. La decisione arbitrale però magicamente non si contesta perchè a Pasqua avviene il “miracolo”. Che si abbia fede o meno, questo è un autentico miracolo. Quelle famiglie ritrovano finalmente la giusta dimensione aggregativa, organizzano pic-nic “volanti” nel prato e con la formula “ognuno porta qualcosa” ritrovano anche l’usanza del collettivizzare e condividere, riproponendo l’antico scambio di specialità che ognuno portava come eredità della propria terra di origine e sostituiscono l’insulto all’arbitro o l’imprecazione per il gol sbagliato con un brindisi che non suona solo perché le bibite sono servite in bicchieri di plastica.
Queste sono le storie che ci piace raccontare, quelle dove i genitori di due squadre avversarie di una partita terminata qualche minuto prima della pausa pranzo, si ritrovano a condividere costine e insalate di peperoni e patate, quelle dei premi speciali ai volontari che si prodigano, stando lontani da casa proprio in quei giorni di festa, perché i bambini e le famiglie possano passare una Pasqua sportiva divertente e ben organizzata, quelle storie dal lieto fine dove il gruppo a fine pasto raccoglie tutte le immondizie ripulendo lo spazio utilizzato in modo impeccabile. Ecco, queste sono le storie che ci piace raccontare, quelle che almeno ogni tanto, ci fanno credere ai miracoli.