Gli avvoltoi a Torino svolazzano su via Barbaroux angolo via Botero. Li vedi arrivando da lontano in questa via. Avvicinano chiunque passi e pongono la domanda: «Hai oro da vendere?». Già, fanno parte, purtroppo, della storia della nostra città. Non fa neanche notizia parlarne, ma vallo a spiegare alla signore Natalina, pensionata, emigrata dal Puglia da giovane che dopo aver parlottato con due di questi guarda un po’ sperduta nei visi dei passanti. «Non ho soldi per i regali di Natale e non voglio che i miei nipoti pensino che non gli voglio bene».
Così ha deciso di prendere una catena e un bracciale e andare in questa striscia di Torino a”piazzare” i suoi ricordi. Chi passa in questi giorni in questo tratto di strada non può fare a meno di notare che gli avvoltoi sono aumentati. Sigaretta tra le dita ingiallite, ventre grasso di ordinanza, i loro volti non più giovani fanno pensate che hanno girato a campare per una vita tra il gioco delle tre carte qualche scatolone di sigaretta alla segatura, piccoli reati che sono costati un po’ di galera e ora cacciatori d’oro. Difficile parlare con un avvoltoio: chiunque non abbia un carico di disperazione o non porti due belle gambe da squadrare non è degno delle loro attenzioni. Se non fai parte di una di queste due categorie “sei uno sbirro”.
Via Barbaroux, via Monte di Pietà, via noterò formano una sorta di triangolo dice la disperazione e lo strozzinaggio la fanno da padroni. Intanto la signora Natalina tiene stretti dentro la tasca del cappotto nero i suoi ricordi in vendita e osserva dei compra oro dove una piccola bilancia deciderà se sarai soddisfatto o meno del “guadagno”. Come dicevamo non c’è nulla di nuovo in tutto questo. Lo si capisce come gli sguardi indifferenti di residenti e impiegati che vanno a lavorare rendano più surreale il clima. Intanto però gli avvoltoi hanno già individuato una nuova preda. «Ha oro da vendere?». E quasi si offendono se rispondi con un’occhiata incuriosita. Come dire: «In che mondo vivi? Questa è la terra della disperazione e noi siamo i suoi custodi».
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